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Costantinopoli nel 1321 vista da Ibn Battuta


Condivido queste parole del cronista e esploratore magrebino Ibn Battuta, che visitò Costantinopoli attorno al 1321 e la descrisse con grande entusiasmo. Ricordiamo che, al tempo, la città era in pessimo stato, spopolata e in rovina, ma non per questo aveva smesso di esercitare un fascino irresistibile sui visitatori.

Il testo che segue è un estratto di un'opera più ampia che ho tradotto dall'inglese.


“Costantinopoli, di una grandezza sterminata, è divisa in due parti fra le quali scorre un maestoso fiume, l’Absumi, dove la marea si fa sentire, come succede con il fiume di Salè, in Marocco. Un tempo c’era un ponte in muratura, ma poi è andato distrutto e ora il fiume si attraversa solo in barca.

Una delle due parti della città, "La città" (Istanbul) (Astanbul), sorge sulla sponda orientale del fiume e ospita le residenze del sovrano, dei grandi dignitari e del resto della gente. Strade e mercati, ampi e lastricati in pietra, comprendono quartieri separati per ogni gilda e sono muniti di porte che la notte vengono tenute chiuse – artigiani e venditori, fra l’altro, sono quasi tutte donne. Questa parte della città, con al centro la basilica (Santa Sofia), si trova a piè di un monte che si protende nel mare per circa nove miglia ed è largo altrettanto se non di più: in cima vi hanno sede una piccola roccaforte e il palazzo del sovrano, e intorno scorrono le mura, ben fortificate e inaccessibili a chiunque dalla parte del mare, che racchiudono all’interno circa tredici borghi abitati”.


“Quanto alla seconda parte della città, Galata (al-Ghalata), sorge sulla riva occidentale del fiume, tanto vicina al corso d’acqua quanto lo è Rabat al suo fiume (il Bou Regreg), ed è riservata alle abitazioni dei cristiani d’Occidente, che di svariata provenienza – genovesi, veneziani, romani e franchi – sono tutti sotto la giurisdizione del sovrano di Costantinopoli. Questi nomina suo luogotenente uno di loro che sia gradito agli altri – il cosiddetto qumis – e impone loro un tributo annuale, ma a volte capita che gli si rivoltino contro e allora il sovrano li combatte finché il Papa non interviene a ristabilire la pace. Lavorano tutti nel commercio e hanno un porto fra i più grandi al mondo: vi ho personalmente visto un centinaio di navi simili alle galere e altre di pari grandezza, oltre a un numero incalcolabile di barche più piccole. Quanto ai mercati, sono belli ma pieni di immondizie e attraversati da un rigagnolo d’acqua sporca lurida – anche le chiese, del resto, a Galata sono sporche e non hanno nulla d’interessante”.


Ibn Battuta continua parlando di Santa Sofia:


"Descriverò solo l’esterno, perché dentro non l’ho vista. La chiamano Aya Sufiya e dicono sia stata costruita da Asaf ibn Barakhya, figlio della zia materna di Salomone. Fornita di tredici porte e circondata da mura come una città, è una delle più grandi chiese bizantine e comprende un sacrato lungo circa un miglio, con un enorme portone che tutti possono varcare – e infatti anch’io ci sono entrato insieme al padre del sovrano, di cui parlerò oltre. Questo sacrato, dunque, sembra una sala delle udienze: lastricato in marmo, è attraversato da un rivo d’acqua che, uscendo dalla chiesa, scorre fra due argini alti circa un cubito, di marmo venato e tagliato in modo splendido. Sulle sponde del rivo crescono alberi ben allineati l’uno all’altro e dalla porta della cinta a quella della chiesa si stende un alto pergolato in legno su cui si abbarbicano le viti, mentre in basso crescono gelsomini e piante aromatiche. Fuori dalla porta della cinta, invece, sorge un grande padiglione con delle tavole anch’esse in legno su cui stan seduti gli addetti alla porta, e a destra del padiglione si trovano panche e gabbiotti, per lo più sempre in legno, dove stanno seduti i qadi e gli scribi della cancelleria. In mezzo ai gabbiotti si erge poi un altro padiglione ligneo a cui si accede per mezzo di una scaletta in legno: vi è sito un grande scanno rivestito da un drappo su cui si siede il loro (gran) qadi, ma di costui parleremo oltre. Il rivo di cui sopra, infine, si biforca in due rami: uno attraversa, a sinistra del primo padiglione, il mercato degli speziali, mentre l’altro passa colà ove stanno i qadi e gli scribi.


Quanto agli inservienti, occupano una serie di portici all’entrata della chiesa e, oltre a spazzare il pavimento, accendere le lampade e chiudere le porte, devono lasciare entrare solo chi si prosterna davanti a un’enorme croce ritenuta la reliquia di quella su cui fu crocifisso il sosia di Gesù. Questa croce, custodita in una teca d’oro lunga una decina di cubiti con sopra un’altra identica, sistemata di traverso, è posta sulla porta che, ricoperta di lamine d’argento e d’oro, è munita di due picchiotti d’oro puro. A quanto mi hanno detto, questa chiesa ospita diverse migliaia di monaci e di preti – fra cui alcuni discendenti degli Apostoli – e racchiude al suo interno un’altra chiesa riservata alle donne, abitata da oltre mille vergini consacrate al servizio di Dio – e ben più numerose donne non più giovanissime.


Il sovrano, i grandi dignitari del regno e il resto della gente vengono a visitare questa chiesa ogni mattina, e il Papa ci viene una volta all’anno: quando è a quattro giorni di cammino dalla città il re gli va incontro, smonta da cavallo in segno di rispetto ed entra a Costantinopoli precedendolo a piedi – poi, fintanto che il Papa resta in città, cioè fino a quando parte, va a rendergli omaggio tutti i giorni al mattino e alla sera”.


Un articolo di Emanuele Rizzardi


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