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Perché la lingua italiana nasce dal fiorentino? Facciamo chiarezza


La lingua italiana deriva dal dialetto fiorentino per diverse ragioni storiche, culturali, ma più che altro politiche. Potremmo pensare che Firenze fosse un centro chiave nello sviluppo dell'italiano come lingua standard per la sua cultura e per le Tre Corone, ma sarebbe eccessivamente semplicistico. Non che Venezia o altre città fossero culturalmente poco rilevanti, in effetti.

Andiamo con ordine e facciamo un passo indietro alla fine dell'Impero (d'Occidente).


L' evoluzione del repertorio delle comunità linguistiche dell'Impero

Romano d'Occidente nel millennio fra la Conquista e l'Alto Medioevo

è riassumibile attraverso la seguente tabella sociolinguistica

(dove il livello di base [n° 1] rappresenta la lingua usata in famiglia o il

gergo, mentre gli altri livelli salgono progressivamente negli ambiti d'uso fino al n° 5, che indica la lingua scritta ufficiale):

è intuibile che, nei Regni Romano-Germanici (come la Francia) in cui la lingua rustica era relativamente meno differenziata che altrove o comunque non solcata da confini linguistici, il volgare interregionale abbia perso gran parte della propria funzione, rimanendo invece nell'uso vivo laddove la variazione era maggiore, come in Italia.

Tale situazione, mantenutasi fino alla Fase Bizantina di Riunificazione dell'Impero,

si è poi con la Conquista Longobarda trasformata.

La discontinuità territoriale delle aree restate sotto la giurisdizione di Costantinopoli ha determinato una condizione di relativa omogeneità linguistica locale all'interno di ciascuna area, rendendo perciò anche in questi casi largamente superfluo l'uso di un lingua intermedia (un mesoletto volgare interregionale), che invece è rimasta indispensabile nel Regno Longobardo.

Da ciò deriva l'utilità della nozione storico-linguistica di volgare longobardo per designare la varietà di mesoletto (neo)latino impiegata nel Regno Longobardo in quanto distinta dall'evoluzione locale della lingua rusitca.

Per il XIV secolo, la Questione della Lingua andrebbe formulata in questi

termini: perchè, nel Sacro Romano Impero, si e optato per il fiorentino come lingua ufficiosa (dal momento che quella ufficiale era il latino) del Regno Longobardo (o, come era informalmente chiamato, Regno d'ltalia)?

La questione si e già cominciata a porre nel secolo precedente, al culmine della potenza dell'Impero, con gli Svevi (in particolare Federico II, che, in coerenza con quanto precede, poteva a seconda dell' opportunità risiedere a Palermo o in Germania); in termini moderni, si e trattato di un problema di Pianificazione del corpus linguistico e in particolare di implementazione di alcuni registri, che evidentemente non erano più (o mai stati) attivi nel volgare longobardo: a questo scopo era inevitabile il ricorso al - piu ricco - corpus di un basiletto (se possibile urbano) di uso vivo e nativo (una sorta di 'lingua-tetto' dal basso per il volgare longobardo).

In ultima analisi, la causa del fenomeno dev'essere la stessa delle (altre) Monarchie Nazionali dei secoli XIXV: lo sviluppo di uno Stato che superasse il livello politico della Monarchia Feudale.

Se all'epoca di Dante non c'era l'italiano come appare nei secoli successivi

(potevano sussistere succedanei del volgare longobardo, ma certo non in

uso universale), esisteva ancora l'Italia Imperiale.

I tre principali basiletti candidabili a sostituire (o rivitalizzare)

il volgare longobardo come lingua curiale erano i volgari delle massime Citta Imperiali (più ricche e potenti), Milano Genova e Firenze (Venezia ha fatto parte del Regno

d'Italia solo all'inizio del IX secolo d.C.).

Fra antico milanese, genovese e florentino, era quest'ultimo il piu vicino al volgare

longobardo: il fiorentino si e quindi imposto nel XIV secolo non solo

per le Tre Corone e/o per i Banchieri, ma per una ragione al contempo più

generale e più strettamente sociolinguistica, la sua condizione di maggior vicinanza

ai continuanti del volgare longobardo rispetto ai basiletti degli altri

due principali centri economico-finanziari - Milano e Genova - del Regno

Longobardo nel Sacro Romano lmpero.

E solo la - fragile fin quanto si vuole, ma fondamentale - presenza

del Sacro Romano Impero che ha imposto l'italiano, non certo il solo Comune

di Firenze con le proprie forze (ne con quelle della Parte Guelfa); Firenze

era una delle quattro citta che forse poteva - difficile dire con quante

reali speranze - tentare un'unificazione geopolitica dei Feudi Imperiali, ma

e un fatto che tale unificazione non ha avuto luogo ne è stata davvero intrapresa. Dunque, non solo la diffusione dell'italiano come acroletto e dovuta al Sacro Romano Impero, ma la stessa scelta dell'italiano è stata fatta e ha avuto un senso solo nel contesto del Regno Longobardo nel Sacro Romano Impero. La prima opzione per il fiorentino in uno Stato di sufficiente peso geopolitico

al di fuori di Firenze e avvenuta intorno all' epoca di Bernabò Visconti

a Milano, pienamente nel quadro del Ghibellinismo imperiale; un secolo dopo

e stato il turno dei Savoia (solo in Cisalpina - tranne Aosta - e a Nizza),

poi di Venezia (al tempo del Bembo e comunque accanto al veneziano), infine

dei Borboni nel Settecento (abbastanza in la nel tempo; prima c'era il castigliano

); a Genova è stato imposto dai Savoia dopo il 1814.

Il fiorentino ha dunque assunto di fatto il ruolo di volgare del Regno Longobardo espandendosi lentamente (e a fatica) negli Stati da questo rivendicati finche è esistito il Sacro Romano lmpero. Dal punto di vista dell'appartenenza nazionale, il quadro

e altrettanto evidente: esisteva uno Stato Nazionale (comprensivo di Costituzione

- la Bolla d'Oro - e Parlamento, il Reichstag), dove tutti i documenti, da Dante agli Atti del Concilio di Costanza (l'unico 'Congresso' in cui le questioni nazionali siano state esplicitamente trattate), affermano inequivocabilmente che la Natio Germanica si

estende alla Scandinavia, Boemia, Croazia, Ungheria, Polonia, Lituania e Rutenia. Il Sacro Romano lmpero era uno Stato Nazionale (di una Nazione duplice - ossia con due lingue - ma comunque una, non due), anche se non includeva ne tutta la Nazione Germanica ne tutta quella Welsche Gallesca, bensì la loro parte centrale e prototipica, determinante per il riconoscimento, anche linguistico; la sua situazione sociolinguistica si articolava sui tre livelli di acroletto (latino), basiletto (le numerosissime varietà. germaniche e romanze, queste ultime soprattutto romanze occidentali, parlate sul territorio a livello locale; entrambe le classi - germanica e romanza - sia nel Regno di

Germania sia nel Regno Longobardo) e mesoletto ('volgare'), solo questo distinto

fra i due Regni (tedesco in Germania, italiano nel Regno Longobardo).





Sia il tedesco sia l'italiano erano parlati anche al di fuori dell'Impero. Il Tedesco e l'italiano stavano ai due rispettivi Teilreiche dell'Impero (Germania e Longobardia/ltalia) tanto quanto il francese al Regno di Francia, l'inglese a quello d'Inghilterra e lo 'spagnolo' a quello di Spagna.

Da Filippo II in poi, i due Regni di Sicilia (Al di Qua [ossia Napoli] e Al di

La del Faro) si individuano, entro la Corona di Spagna, come Italia (insieme

a Milano col Finale, la Lunigiana e lo Stato dei Presidi), in quanto retti dal

Consejo de Italia e questo pone le condizioni di partenza - che prima erano

vaghissime (limitandosi alle rivendicazioni imperiali e alla diffusione letteraria

della lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio, con gli stessi limiti del francese

e del provenzale prima di Dante) - per l'estensione dell'italiano da Milano

(oltre al Finale, la Lunigiana e i Presidi) alle Due Sicilie (talchè, nel complesso,

la Corona di Spagna aveva quattro o cinque lingue nazionali: castigliano,

portoghese finche e rimasto, catalano, italiano e, nei Domini Borgognoni,

francese).

La prospettiva nazionale da parte asburgica era, evidentemente,

l'impiego del francese in Borgogna e Paesi Bassi Meridionali in vista dell' annessione

della Francia alla Spagna (eventualmente nella forma di 'riconquista'

da parte inglese finche Filippo II e stato Consorte di Maria Tudor) e

l'impiego dell'italiano, accanto al castigliano, in Italia (Lombardia e Due Sicilie)

nel quadro del ristabilimento dell'Unione fra Spagna e Impero.

Roma era ovviamente già italoromanza a livello di basiletto così come, più in generale, le Legazioni nella Penisola, mentre Venezia ha adottato

dal Dominio al Dogado e all'Oltremare l'italiano con una decisione

molto sofferta, ma in pratica ha continuato a usare il veneziano.

L'italiano rappresenta dunque, insieme al tedesco, la lingua del Sacro Romano

lmpero.

Come la Nazione Francese e prodotto del Regno di Francia e quella Inglese del Regno

d'Inghilterra, la Nazione ltaliana dal punto di vista linguistico (acrolettale) è il prodotto del Sacro Romano lmpero. Una Nazione (più estesa dello Stato), uno Stato (l'Impero), due Regni, quindi due lingue. Il Regno Longobardo si è ridotto ai minimi termini nel Regno Lombardo(-Veneto), ma la situazione e rimasta immutata.

I Ducati Padani e il Granducato di Toscana hanno seguito la stessa politica del Lombardo-Veneto; gli Stati Sabaudi di Terraferma erano porzioni di Sacro Romano Impero amputate come la Svizzera; lo Stato Pontificio e le Due Sicilie sono restati inalterati rispetto a prima di Napoleone (a parte l'Unione Reale dei due Regni di

Sicilia), continuando nei medesimi processi, al culmine dei quali - prima del

1859-1861 - la nuova Questione della Lingua ha generalizzato, sempre dalla

Lombardia, l'italiano, lingua ufficiale del Lombardo-Veneto così come degli

altri Stati ex-Imperiali e nelle Due Sicilie. Nel XIX secolo, pertanto, i sette

Stati dell' «Espressione Geografica» di Metternich avevano tutti, come da lui

stesso sottolineato, l'italiano inteso almeno come acroletto (nello Stato Pontificio

la lingua ufficiale e sempre rimasta il latino; l'italiano era ufficioso e in

pratica solo scritto, perché a livello orale anche i testi in italiano venivano e

tuttora vengono letti in vernacolo), allorché la Sardegna e le Due Sicilie sono

state le ultime ad adottarlo.


Un articolo di Guido Borghi ed Emanuele Rizzardi:


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