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Come mai tante città lombarde finiscono in -ate?

Toponimi in -ate: un viaggio nella nostra preistoria linguistica


Molti nomi di luogo del Nord Italia finiscono in -ate: Locate, Lambrate, Ternate, Lonate, solo per citarne alcuni. Sembrano nomi qualsiasi, familiari, parte del paesaggio. Ma se li osserviamo con attenzione e ci chiediamo da dove vengano e cosa significhino, ci rendiamo conto che questi nomi racchiudono un’eredità linguistica antichissima. Ci portano indietro di migliaia di anni, fino a un’epoca in cui non esisteva ancora il latino, e nemmeno Roma.


1. Da dove arrivano questi nomi?


Per decenni si è pensato che l’Italia del Nord fosse abitata, in tempi remoti, da popolazioni che parlavano lingue misteriose, chiamate in modo generico proto o paleo celtiche/liguri/venete.

Le paleoliguri in particolare erano (e sono) considerate non indoeuropee, forse isolate, senza parentela con le lingue conosciute.


L’analisi linguistica e archeologica ci permette di dire che i nomi in -ate non provengono da una lingua sconosciuta, ma da un ramo antico dell’indoeuropeo, la grande famiglia linguistica a cui appartengono anche l’italiano, il latino, il greco, il sanscrito, il celtico, il tedesco e molte altre lingue europee e asiatiche. Più precisamente, i toponimi in -ate derivano da forme arcaiche di celtico, o da lingue molto vicine al celtico.


2. Cosa significa "indoeuropeo"? E cosa c'entra con noi?


Quando parliamo di “indoeuropeo”, ci riferiamo a una lingua ancestrale parlata migliaia di anni fa, da cui derivano moltissime lingue moderne. Questa lingua non ci è arrivata direttamente, ma l’abbiamo ricostruita comparando sistematicamente le lingue antiche e moderne che mostrano strutture simili.

Una delle ramificazioni di questa lingua madre è appunto il celtico, che un tempo era parlato in gran parte dell’Europa, comprese vaste zone dell’Italia settentrionale. Se seguiamo questa traccia, scopriamo che i nostri toponimi in -ate non sono un’eccezione: sono invece testimonianze dirette di una presenza linguistica indoeuropea – celtica – nel nostro territorio molto prima dei Romani.


3. Perché i toponimi ci interessano?


I toponimi non sono parole casuali. Sono documenti linguistici viventi, che spesso conservano elementi arcaici, intatti nei secoli. Possono indicarci che lingua si parlava in un dato luogo, quale fosse l’ambiente naturale o le abitudini della comunità che lo abitava.

Nel caso dei nomi in -ate, osserviamo che spesso essi derivano da composti celtici formati da due elementi: il primo legato a un fiume o a una caratteristica geografica, il secondo legato al concetto di “guado”, “dosso”, “pianura”, “bosco”, “argine”.

Facciamo alcuni esempi:

  • Ternate (in provincia di Varese) significa probabilmente “i tre dossi”, e il paese si sviluppa proprio su tre collinette.

  • Lambrate è legato al fiume Lambro, e il suffisso -ate indica un “guado”.

  • Velate si trova presso il Vellone, un altro corso d’acqua, e presenta lo stesso tipo di struttura.

  • Seriate, Lonate, Beverate: tutti questi nomi sono legati a fiumi o torrenti locali, e descrivono punti di passaggio, attraversamento o insediamento.

Questi nomi non sono stati importati da fuori. Sono nati sul posto, coniati da chi viveva in quelle aree, e descrivono in modo pratico e funzionale il territorio circostante.


4. Queste lingue erano parlate proprio qui


Spesso pensiamo al celtico come a qualcosa d’esotico, legato alla Bretagna, all’Irlanda o alla Scozia. In realtà, il celtico è anche parte della nostra storia. Le lingue parlate nella Pianura Padana e nelle valli alpine in epoca preromana erano celtiche o strettamente imparentate.

E non solo: c’è una buona ragione per credere che queste lingue si siano sviluppate proprio qui, a partire da una base indoeuropea preistorica. In altre parole, non è solo una lingua arrivata da fuori con le migrazioni galliche, ma una lingua nata, trasformata e cresciuta nel nostro territorio, che poi ha assunto una forma celtica man mano che evolveva.

La Pianura Padana non è stata semplicemente conquistata da popoli indoeuropei: è stata parte integrante dell’evoluzione dell’indoeuropeo stesso. Ecco perché possiamo considerare i toponimi in -ate come tracce di un celtico indigeno, formatosi localmente.


5. Quanto sono antichi questi nomi?


Una delle scoperte più sorprendenti è che alcuni di questi nomi potrebbero risalire a epoche remotissime, anche a prima del Neolitico. Dopo il ritiro dei ghiacci alpini (intorno a 14.000 anni fa), le prime comunità umane iniziarono a insediarsi stabilmente in queste zone. I nomi con suffisso -ate, spesso legati a fiumi e passaggi fluviali, potrebbero essere stati usati già da queste comunità, molto prima della comparsa di città, scrittura o imperi.

A rafforzare quest’ipotesi c’è il fatto che alcuni toponimi conservano tratti fonetici molto antichi, che si sono persi nelle lingue successive. Ad esempio, la presenza o il dileguo delle cosiddette laringali (suoni che esistevano nell’indoeuropeo ma si sono poi dissolti) ci indica che queste parole risalgono a un’epoca arcaica, precedente al celtico storico.


6. Ma non esistevano anche lingue “più antiche”?


Esiste una teoria diffusa secondo cui in Europa, prima dell’indoeuropeo, si parlavano altre lingue, chiamate genericamente “mediterranee” o “preindoeuropee”. Alcune parole, secondo questa teoria, sarebbero sopravvissute nei dialetti e nelle lingue romanze, magari in contesti montani o rurali (come il termine “baita”).

Tuttavia, non c’è alcuna prova solida che in Italia settentrionale esistano toponimi o parole chiaramente non indoeuropee. Anche molti dei presunti “relitti” possono essere spiegati con l’indoeuropeo, soprattutto con il celtico. In molti casi, le strutture fonetiche e morfologiche mostrano regolarità che corrispondono alla fonetica storica delle lingue indoeuropee.

Anche il basco – spesso usato come esempio di lingua non indoeuropea – presenta, secondo alcuni studi recenti, corrispondenze sistematiche con l’indoeuropeo, il che rimette in discussione molte ipotesi precedenti.


7. Cosa ci raccontano questi toponimi?


I nomi in -ate sono molto più che etichette geografiche. Ci raccontano una lunga storia di continuità linguistica e culturale, radicata nel paesaggio, nella vita quotidiana, nei percorsi, nei fiumi. Sono parole create per descrivere il mondo, da comunità che lo abitavano profondamente e che ne conoscevano ogni dettaglio.

Non solo: questi nomi ci aiutano a capire che la nostra regione non era una periferia dell’Europa antica, ma un luogo centrale, dove l’indoeuropeo si è evoluto in modo originale, lasciando una traccia ancora visibile nella lingua e nella geografia.


8. In conclusione: un’eredità nascosta sotto i nostri occhi


Guardare un nome come “Lambrate” o “Ternate” con occhi linguistici ci consente di leggere nel paesaggio una storia lunghissima, che risale a epoche in cui nessuno scriveva ancora, ma in cui le persone avevano già una lingua, un’organizzazione sociale, una geografia mentale.

Questi nomi ci dicono che:

  • Le comunità preistoriche del Nord Italia parlavano una forma di indoeuropeo molto antica, che ha dato origine al celtico locale.

  • I toponimi si sono conservati grazie alla loro funzione pratica: descrivevano luoghi reali e utili, come guadi, fiumi, dossi, pianure.

  • Non servono ipotesi misteriose per spiegare le radici della nostra lingua: abbiamo già una storia profonda e coerente, ben integrata nel panorama europeo.

In fondo, ogni volta che pronunciamo un toponimo antico, stiamo continuando una tradizione orale che risale a migliaia di anni fa. E questo ci lega, senza saperlo, a chi ha vissuto qui ben prima di noi.


Un articolo di Giovanni Cerva


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