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Immagine del redattoreEmanuele Rizzardi

Cintura di castità, la storia di un falso

Aggiornamento: 13 feb

Quando si pensa al Medioevo, sia orientale che occidentale, una delle immagini più diffuse è quella della cintura di castità, ossia di un pezzo di ferro che impedisce i rapporti sessuali formando una sorta di "tappo". Nell'immaginario comune è simile ad una cintura (da qui il nome), può essere sia maschile che femminile e veniva chiusa con cinghie o lucchetti; la leggenda più diffusa la fa nascere al tempo delle crociate, perchè i guerrieri avevano paura che le mogli li tradissero quando erano via e quindi impedivano loro di avere rapporti sessuali fino al ritorno dello sposo.

Questa leggenda è entrata nella cultura popolare in modo fortissimo ed è stata presa a piene mani dai produttori di film americani e gestori di musei ghiotti di denaro che, specialmente in passato, non perdevano l'occasione di esibirla per mostrare quanto fosse brutto e barbarico il Medioevo.

La realtà dietro a questa leggenda però è molto, molto diversa.



La prima menzione della cintura di castità è molto successiva alle crociate, nel manoscritto tedesco Bellifortis di Konrad Kyeser del 1405 e viene descritta come in uso nella città di Firenze; il tono e il tipo di testo però ci fanno capire chiaramente che si tratta di ironia da parte dell'autore, infatti Kyser ci parla anche di macchine immaginarie e strumenti grotteschi mai fabbricati. Quest'opera è stata presa senza considerare il contesto e su di essa si è costruita tutta la narrativa, falsa, della cintura di castità. Insomma, è come se qualcuno vedesse i disegni dell'ornitottero di Leonardo da Vinci e pensasse che nel Medioevo la gente lo usasse abitualmente come mezzo di trasporto! Oppure, che qualcuno leggesse il romanzo "Dune" e pensasse fosse un trattato storico di fatti realmente accaduti.

In alcuni casi esistono dipinti tardomedievali dove si vedono donne indossare uno strumento simile, che viene aperto con una chiave, ma anche in questi casi si tratta di interpretazioni e allegorie riguardo le prostitute, o di ironia riguardo i rapporti uomo-donna, per esempio per sbeffeggiare i mariti eccessivamente gelosi. Dobbiamo capire che i nostri antenati ragionavano esattamente come noi in termini di creatività e speculazione, perciò non tutto quello che veniva scritto corrispondeva pedissequamente a fatti reali.

Il tema del cavaliere che va in una terra lontana e lascia l'amata moglie a casa è molto sentito nel Medioevo, abbiamo innumerevoli opere che trattano dell'amore e della lontananza e in nessuna di queste opere viene citata la famosa cintura, guardacaso.

A conti fatti, non esiste alcun esemplare autentico di cintura di castità; quelli che abbiamo oggi nei musei sono fabbricati a partire dal 1889 e inseriti in aree apposite per attirare turisti e vendere molti biglietti; in ambiente anglosassone venivano anche usate come spauracchio per rappresentare i secoli bui della chiesa cattolica e del Medioevo. Delle curiosità per creare chiacchiericcio e suscitare emozioni in un pubblico generico e poco istruito.

Anche in epoca postmedievale, non esistono documenti o prove autentiche su queste cinture prima della fine del 1800, e perfino in questi casi si tratta di persone che riportano leggende e parole di terzi senza alcuna prova, che sono state prontamente smentite.

Un esempio è quello accaduto nel 1889 ad Anton Pachinger che affermò di aver trovato una cintura di castità femminile del 1500 in una tomba, ma tale artefatto venne presto perduto senza che nessuno lo vedesse e il luogo indicato della sepoltura si rivelò di fatto inesistente.

Altre cinture, per esempio quelle attribuite a Caterina de Medici e Anna d'Asburgo, si sono poi rivelate dei falsi, anche grossolani. I maggiori musei europei hanno iniziato via via a rimuovere queste opere fittizie a partire dalla prima metà degli anni '90, ma esistono ancora nelle aree più remote o meno "acculturate" sul tema.

Lo storico Alessandro Barbero, inoltre, ci dice che queste cinture non potevano essere fisicamente indossate perchè "portavano ad ammalarsi entro pochi giorni. Noi storici dobbiamo impegnarci a combattere la tendenza della gente a credere alle leggende più incredibili", alludendo ovviamente a chiari problemi di igiene.


Un'altra leggenda nera del Medioevo è quella sullo IUS PRIMAE NOCTIS


Un articolo di Emanuele Rizzardi


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English Version:


When one thinks of the Middle Ages, both Eastern and Western, one of the most common images is that of the chastity belt, that is, a piece of iron that prevents sexual intercourse by forming a sort of "cap." In the common imagination, it is similar to a belt (hence the name), can be either male or female, and was fastened with straps or padlocks; the most widespread legend has it originated at the time of the Crusades, because warriors were afraid that their wives would cheat on them when they were away and thus prevented them from having sexual relations until the return of the groom.

This legend has entered popular culture in a very strong way and has been taken in stride by American film producers and money-grubbing museum managers who, especially in the past, did not miss an opportunity to display it to show how ugly and barbaric the Middle Ages were.

The reality behind this legend, however, is very, very different.





The first mention of the chastity belt is long after the Crusades, in Konrad Kyeser's German manuscript Bellifortis from 1405 and is described as being in use in the city of Florence; the tone and type of text, however, make it clear to us that this is irony on the part of the author, in fact Kyser also tells us about imaginary machines and grotesque instruments that were never manufactured. This work was taken without considering the context and the whole false narrative of the chastity belt was built on it. In short, it is as if someone saw Leonardo da Vinci's drawings of the ornithopter and thought that in the Middle Ages people routinely used it as a means of transportation!

In some cases there are late medieval paintings where women are seen wearing a similar instrument, which is opened with a key, but even in these cases they are interpretations and allegories about prostitutes, or irony about man-woman relationships, for example to mock overly jealous husbands.

The theme of the knight who goes to a distant land and leaves his beloved wife at home is very much felt in the Middle Ages; we have countless works dealing with love and distance, and in none of these works is the famous belt mentioned.

On balance, there is no authentic example of a chastity belt; the ones we have in museums today have been manufactured since 1889 and placed in special areas to attract tourists and sell many tickets; in Anglo-Saxon settings they were also used as a bogeyman to represent the dark ages of the Catholic Church and the Middle Ages.

Even in post-medieval times, there are no authentic documents or proofs about these earlier belts before the late 1800s, and even in these cases it is a matter of people reporting legends and words of third parties without any evidence, which were promptly debunked.

In 1889, Anton Pachinger claimed to have found a female chastity belt from the 1500s in a grave, but this artifact was soon lost and there are no burial records indicated.

Other belts, for example those attributed to Catherine de Medici and Anne of Habsburg, later turned out to be forgeries. Major European museums have gradually begun to remove these fictitious works since the first half of the 1990s, but they still exist in more remote or less "acculturated" areas on the subject.

Historian Alessandro Barbero, moreover, tells us that these belts could not be physically worn because "they led to getting sick within a few days. We historians must strive to combat people's tendency to believe the most unbelievable legends," obviously alluding to clear hygiene problems.



An article by Emanuele Rizzardi


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