Esiste una tendenza nata negli ultimi anni che si propone di inserire asterischi e schwa
nel linguaggio scritto, con lo scopo apparentemente nobile di essere inclusivi e di non offendere nessuno.
Questa tendenza, che sta in un certo qual modo prendendo piede e che si suppone voglia combattere una cultura linguistica maschilista, è fondamentalmente errata dal punto di vista squisitamente della lingua, e ora andiamo ad analizzare il perchè anche dal punto di vista storico:
L’errore sta nel presupposto in sè, ed è un errore... maschilista, perché consiste nell’accettare l’idea – appunto erronea – che il genere grammaticale maschile sia davvero maschile.
Nel Mondo ci sono lingue che non hanno genere grammaticale (fra queste anche le lingue a classi ossia che hanno numerose classi lessicali fra le quali anche una femminile, che non influenza gli accordi grammaticali); le lingue che hanno un genere si riconoscono dal fatto che modificano l’accordo dell’aggettivo o addirittura del verbo a seconda del genere del sostantivo.
Fra le lingue che hanno generi grammaticali distinti, la maggior parte hanno un’opposizione fra animato e inanimato (da notare che lo stesso referente può assumere l’uno o l’altro a seconda di come è visto, per esempio l’acqua se vista come elemento o come principio attivo). Il femminile opposto al maschile c’è solo in lingue indoeuropee e semitiche e in dravidico; in semitico e dravidico non c’è l’inanimato, mentre nella maggior parte delle lingue indoeuropee ci sono i tre generi (come in latino e in tedesco; in armeno non ci sono generi).
Se l’indoeuropeo preistorico avesse il femminile è molto controverso; di certo aveva l’inanimato (all’origine del neutro) e l’animato (all’origine del genere comune). Nelle lingue anatoliche – che sono quelle di più antica attestazione di tutto la famiglia indoeuropea (e per capire se c’è accordo grammaticale occorrono delle attestazioni) – si vede al meglio l’opposizione fra inanimato e comune (non c’è il femminile): il genere comune vale per tutti i referenti maschili e femminili e perfino gli inanimati lo possono assumere se provvisti di un determinato suffisso che li trasforma in animati (così come noi possiamo femminilizzare un maschile aggiungendogli un suffisso, per esempio -a o -essa).
In tutte le altre lingue (tranne l’armeno e oggi, di fatto [a parte i pronomi], alcune lingue germaniche come l’inglese) compare anche il femminile, esclusivamente per referenti femminili (se viventi; tranne con alcune specie animali: tigre, giraffa, pulce, formica, mosca, zanzara, che funzionano come genere comune) oppure attribuito in modo imprevedibile a referenti inanimati o astratti (la scala, l’uscita, la fine – mentre il fine no – o classicismi come barbarie, psiche, stele, pàrodo &c.). Come ovvio, nel caso di referenti inanimati o astratti il femminile non è davvero femminile (così come il maschile di buco – rispetto a buca – o di calcolatore rispetto a calcolatrice o di pavimento, cielo, sole, fango, inganno, premio &c. &c. non è un maschile); per le specie animali come tigre funziona da genere comune.
Nella grammatica, il genere comune è stato chiamato maschile nelle lingue che avevano anche il genere femminile; ha però continuato a funzionare come genere comune. Così, presidente (che di per sé non ha desinenze maschili; essendo un participio della terza declinazione latina, il “maschile” coincide col femminile perché in realtà hanno la stessa desinenza) è comune; se si vuole sottolineare che ha un referente femminile si usa la classica strategia della suffissazione (president-essa), altrimenti si lascia comune. I referenti maschili non hanno una desinenza maschile a disposizione: si usa la forma comune. Importante: l’antico suffisso -o- non solo non era maschile (era comune), ma non era neppure solo comune, era anche inanimato (infatti in latino ha dato origine sia a -u-s sia a -u-m: la differenza sta nella desinenza – non nel suffisso – e l’italiano ha perso la desinenza, per cui è rimasto il suffisso, indifferente al genere).
In varie lingue indoeuropee, il neutro è scomparso, confluendo nel maschile al singolare e nel femminile (dita, uova) al plurale (in italiano ci sono pochissimi residui di neutri plurali; in varî dialetti centro-meridionali e in romeno invece è rimasta l’intera categoria). In altre lingue romanze, tutto il neutro è diventato femminile (per esempio, in francese la mer ‘il mare’).
In italiano, francese, latino, greco, tedesco, russo &c. il verbo non cambia a seconda del genere (solo in pochissimi dialetti, come in quello di Ripatransone); nelle lingue semitiche invece sì. Nelle lingue indoeuropee (a parte Ripatransone e a parte l’armeno), dunque, il genere si riconosce solo dall’accordo fra aggettivo (quando è distinguibile, quindi non gli aggettivi della seconda classe, in -e, come comune, fragile, breve &c.) e sostantivo (in milanese, solo al singolare; il plurale è indistinto per genere, sia nei sostantivi – tranne tosann ‘ragazze’ – sia negli aggettivi).
Dopo tutto ciò, possiamo circoscrivere l’esistenza dell‘opposizione fra “maschile” e femminile: l’accordo fra aggettivi della prima classe (in -o, -a; plurale -i, -e) e sostantivi con referenti umani (in tutti gli altri casi, come piovra o opera, l’opposizione di genere è puramente formale e non ha niente a che vedere col genere naturale; invece di “maschile” e “femminile” si potrebbero – meglio – usare “classe -o” e “classe -a”, se non fosse che ci sono anche i sostantivi ambigui in -e come duce e tigre, oltre al dolce da mangiare, che è semplicemente un neutro latino rimasto invariato).
A questo punto arriviamo all’osservazione decisiva.
Il genere femminile, in questi casi (che sono gli unici in cui è davvero femminile), sottolinea il genere naturale femminile del referente ed è esclusivo (si usa solo con femmine), ma non obbligatorio: Giorgia Meloni, per la Legge, è Presidente del Consiglio dei Ministri (non è stata introdotta una nuova carica di Presidentessa) e lo sarebbe anche se tutti i Ministri fossero Ministre. Se diventasse Presidente della Repubblica, non ci sarebbe una modifica istituzionale dello Stato perché sia Presidentessa: lo sarebbe automaticamente, perché Presidentessa è semplicemente una Presidente donna (una presidente si può dire, tanto quanto una presente o una paziente). La Regina Elisabetta II. è il Re (ossia il Sovrano) che ha regnato più a lungo sul Regno Unito e sull’Inghilterra; se Carlo o suo figlio la superassero, non sarebbe più il Re che ha regnato più a lungo, ma rimarrebbe la Regina che ha regnato più a lungo. Regina è semplicemente un Re donna.
L’estremo è fratelli e sorelle. I miei nonni paterni hanno avuto tre figli, tutti e tre maschi (per capirlo bisogna specificarlo); i miei nonni materni hanno avuto quattro figli, due maschi e due femmine, quindi hanno avuto quattro figli e due figlie (si può anche dire che hanno avuto due figli e due figlie, ma devono essere insieme in opposizione perché si capisca che qui figli vuol dire ‘figli maschi’; non si augurerebbero figli maschi se figli non potesse significare anche figlie). Dunque mia mamma aveva tre fratelli: due maschi e una sorella. Si può anche dire che aveva due fratelli e una sorella, ma anche in questo caso devono essere insieme in opposizione perché si capisca che fratelli vuol dire ‘fratelli maschi’. Erano perciò quattro fratelli: due maschi e due femmine (di nuovo, si può dire che erano due fratelli e due sorelle, ma devono essere insieme in opposizione perché si capisca che fratelli vuol dire ‘fratelli maschi’).
Per riassumere: una volta (forse già in indoeuropeo preistorico, di sicuro sùbito dopo) c’erano tre generi, un inanimato, un comune e un femminile. Il femminile – dove era davvero tale – era ed è tuttora esclusivo per femmine (umane, ossia per donne); denota una speciale attenzione per le donne. Il comune è stato chiamato maschile perché i maschi (e tutti gli altri) avevano a disposizione solo questo e non il femminile; il nome denota comunque una speciale attenzione ai maschi ed è quindi maschilista. Siccome, tuttavia, è rimasto in tutto e per tutto un genere comune, allora lo si è percepito (ingenuamente) come “maschile sovraesteso”, mentre non è mai stato sovraesteso (da un precedente impiego ipoteticamente meno esteso): l’unica sovraestensione è stata di chiamarlo maschile perché unico disponibile per i maschi, quando invece si sarebbe dovuto continuare a chiamare comune (perché include[va] di tutto) o al massimo non femminile (meglio: non solo femminile).
Questa sovraestensione è innegabilmente maschilista (ma nei confronti degli altri animali e delle cose / entità astratte, non delle femmine). Considerarlo realmente maschile (prendere sul serio il nome) è appunto innegabilmente maschilista (ma anche ingenuo, come i bambini quando sostengono che il mattino è un piccolo matto e il mattone è un grande matto). Il punto di partenza delle riflessioni attuali sul genere grammaticale è maschilista e ingenuo, per me non condivisibile (per il semplice fatto che so come sono andate in realtà le cose; sarebbe come credere davvero ad Adamo ed Eva).
La soluzione che viene proposta (quella di asterischi e affini) è poi illusoria: come se la lingua cambiasse per decreto o per volontà popolare.
Neppure i Regimi Totalitarî ci sono riusciti e in ogni caso fra i Diritti Umani c’è quello di usare la propria lingua, senza che nessuno venga a proibirTi di parlarla come l’hai acquisita da bambino o Ti attribuisca determinate idee politiche se la parli.
Un articolo di Guido Borghi ed Emanuele Rizzardi
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è uscito il nostro nuovo romanzo storico! Il trono del leone
Vorrei che un commento come questo lo avessero anche altri argomenti, per esempio la politica, la psicanalisi, la sociologia e tutte le altre materie indispensabili per arrivare alla comprensione della realtà in modo razionale e che apparentemente ci sembra facile. Faccio un esempio di cosa voglio dire pensando a Galilei che in un periodo di totale potere politico della Chiesa si ''inventa'' di affermare che è il Sole a girare attorno alla Terra
. Il Sole lo vediamo innalzarsi da una lato della Terra e inabissarsi dal lato opposto. Cosa è avvenuto nel cervello dello scienziato per affermare il contrario e rischiare di essere arrostito come un suo predecessore. Io l'ho capito dopo aver ''letto'' Machiavelli e Hegel. Ma in…
l'articolo è veramente molto, molto interessante, però il "perché" con l'accento sbagliato ("perchè") nel titolo è imbarazzante, in particolare come esordio di un articolo di questo livello proprio di argomento linguistico. Non ho controllato se ci sono altri refusi (li chiamo refusi per stima verso l'autore), ma raccomando di riguardare il testo con cura. Grazie comunque per una nota realmente molto istruttiva.