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Immagine del redattoreEmanuele Rizzardi

Le fantastiche avventure di Liutprando da Cremona: insulti al basileus


Tempo fa abbiamo parlato della visita di Liutprando da Cremona a Costantinopoli e delle sue descrizioni grottesche della città e dei suoi abitanti.

Trovate l'articolo QUI.

Oggi voglio poporvi un dialogo alquanto pittoresco fra il Nostro e il basileus, così surreale che potrebbe essere stato inventato:


"(...) (il basileus Niceforo) mi ordinò di essere suo commensale.

Ma dato che non mi ritenne degno di antepormi a uno qualsiasi dei suoi maggiorenti, sedetti quindici posti lontano da lui, in un seggio privo di tappeti e senza tovagliolo.

Dei miei compagni di ambasceria, nessuno poté, non solo sedere alla nostra mensa, ma neanche avvicinarsi al palazzo dove si teneva il banchetto. Durante questo convitto, abbastanza lungo, osceno, come suole essere tra ubriachi, si usò per condimento una orribile salsa di pesce irrorata d’olio.

Niceforo mi rivolse molte domande circa la vostra potenza (imperatore di Germania), i vostri regni e i vostri soldati. E poiché gli rispondevo in modo conseguente e veritiero:

“Tu menti, – mi disse. – I soldati del tuo signore non sanno cavalcare e non conoscono il combattimento a piedi: la grandezza degli scudi, il peso delle armature e degli elmi, l’ingombro delle loro corazze, la lunghezza delle spade, impediscono di combattere ai cavalieri come ai fanti”.

E sogghignando aggiunse:

“E poi li imbarazza il peso della loro pancia, perché il ventre è il loro Dio. La loro audacia è la crapula; la loro forza è l’ubriachezza; il loro digiuno la dissolutezza, il loro terrore la sobrietà. Il tuo signore, poi, non ha sul mare un flotta consistente. Io solo ho la forza dei naviganti, e perciò lo assalirò con le mie flotte. Distruggerò con la guerra le sue città costiere, e ridurrò in cenere quelle che sono vicine ai fiumi. E, dimmi, potrà poi resistermi sulla terra data la scarsità delle sue milizie?

Il figlio, è vero, è con lui; non lo abbandonò la consorte: ebbe con sé i sassoni, gli svevi, i bavari, gli italici tutti, ma poi che non seppero o non poterono insignorirsi di una sola cittaduzza che a essi si opponesse.

Come potranno dunque resistermi, se verrò in persona alla testa di una armata, con tante schiere quanti messi ha il Gargaro, quanti grappoli ha Metimna, quante stelle ha il cielo e quante onde ha il mare in tempesta?”

Avrei voluto ribattergli, rintuzzandone la vanità, ma non me lo permise.

Aggiunse però, in tono di disprezzo:

“ Voi non siete dei Romani, siete dei Longobardi!”.

E voleva ancora parlare, facendomi segno con la mano di tacere, ma mi infuriai e dissi:

“Abbiamo appreso dalla storia di Roma che Romolo, da cui hanno preso nome i Romani, altri non era che un infame e un criminale. Era figlio di malafemmina e, non andando d’accordo con il fratello, bagnò le mani nel suo sangue.

I suoi compagni non erano meno viziosi di lui; ed egli li attirò dietro di se: debitori insolvibili, schiavi fuggiaschi, assassini e criminali; e, dopo aver riunito intorno a se gente simile, li chiamò Romani.

Da questa bella nobiltà sono derivati quelli che voi chiamate imperatori.

Ma noi, noi Longobardi, Sassoni, Franchi, Lotaringi, Bavari, Svevi e Burgundi, li disprezziamo talmente che a un nostro avversario come somma ingiuria non lanciamo altro che quell’epiteto: Romano, riassumendo in esso tutto quello che di ignobile, di avidità, menzogna, impudicizia sia concepibile. Quanto all’accusa secondo cui siamo inetti in guerra e poco abili a cavallo, se per castigo dei peccati dei cristiani tu continuerai in questo atteggiamento ostile, le future guerre dimostreranno che gente siate voi e quanto noi siamo bravi a combattere”.


Di questo discorso, oltre a far notare l'assurdità da operetta, segnaliamo anche la stranezza della sua esposizione.

Il cerimoniale imperiale di fatti lasciava poco spazio a un discorso stile botta e risposta fra il basileus e un semplice ambasciatore occidentale; anzi, non è nemmeno scontato che Niceforo si piegasse a parlare di persona con un dignitario, piuttosto che delegare il tutto ad un membro della corte.

Lo stesso Liutprando ammette candidamente che Niceforo non lo teneva in grande considerazione e la distanza fra i due a cena era maggiore di quella posta ai dignitari dei Bulgari.

Alquanto grottesco il pezzo dove il Nostro si pavoneggia di aver dato una risposta piccata all'imperatore poichè arrabbiato dopo che questi minaccia di invadere la Germania con la sua flotta.


Un articolo di Emanuele Rizzardi:


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