Nel 968 il vescovo Liutprando da Cremona fece visita a Costantinopoli presso la corte del basileus Niceforo II Foca. Liutprando ci ha lasciato delle descrizioni grottesche e caricaturali di ciò che vide, influenzato dalla politica e dalla propria visione del mondo. Tuttavia, questi testi ci sono particolarmente preziosi e danno un segno chiaro delle scritture d'Occidente.
Inizio proponendovi 3 estratti:
Un primo estratto riguardo una processione pubblica del basileus. Si evidenzia, come detto in modo caricaturale, la povertà della Città e dei suoi abitanti, oltre alla bruttezza fisica dell'imperatore.
"Non mi sia molesto descrivere questa parata, e i signori abbiano la pazienza di ascoltarmi. Una gran moltitudine di bottegai e di persone di umile condizione, riuniti in
quella solennità per ricevere Niceforo e rendergli onore, si assiepavano ai margini della via, dal Palazzo a Santa Sofia, quasi a formare due muri, ornati solo di piccoli scudi meschini e di giavellotti senza valore. A completare il grottesco si aggiungeva anche che la maggior parte del popolo era venuta ad onorarlo a piedi nudi.(…) Gli ottimati, che col loro imperatore fendevano questa folla plebea e scalza, indossavano grandi tuniche, stracciate per eccesso di vecchiaia.(…)Nessuno era ornato di ori e gemme, se non il solo Niceforo, che gli ornamenti imperiali rendevano ancora più ripugnante. Una veste preziosa dei vostri principi è cento volte più preziosa di quelle di costoro.(…)
Mentre il corteo avanzava come un mostro strisciante, gli adulatori del coro acclamavano : Ecco che viene la Stella del mattino, sorge l’aurora, offuscando i raggi del sole, Niceforo il capo, ossia il principe, pallida morte dei saraceni!"
Segue una descrizione della casa che fu assegnata a Liutprando Costantinopoli:
Noi giungemmo il 4 giugno 968 a Costantinopoli, dove , per far oltraggio a Voi (imperatore di Germania), fummo ricevuti male e trattati, poi, in modo assai sconcio: venimmo rinchiusi in un palazzo grande e spazioso, quanto bastava perché non tenesse lontano il freddo e non respingesse il caldo, e vi furono collocati a custodirlo alcuni soldati armati che dovevano impedire a tutti i miei l’uscita, e agli altri l’entrata.
La casa, accessibile solo a noi che vi eravamo rinchiusi, era tanto lontana dal Palazzo, da mozzare il fiato a chi, ed era il nostro caso, non cavalcava, ma andava a piedi. Successe ancora, per nostra disgrazia, che il vino dei greci risultasse imbevibile, data la mescolanza in esso di pece, resina e gesso. La casa, inoltre, era priva d’acqua, e non potevamo estinguere la sete almeno con essa, che avremmo anche comprato con danaro sonante.
A questo grande guaio ne va aggiunto un altro: il custode della nostra casa che ci portava gli acquisti quotidiani. Se ne avessi voluto trovare un altro simile, non certo la terra lo avrebbe dato: forse l’inferno! Egli infatti, simile a un torrente che straripa, riversò su di noi tutte le disgrazie, le rapine, i danni, i dolori e le miserie che poté escogitare.
… Il 4 giugno come dinanzi ho scritto, giungemmo a Costantinopoli, dinanzi alla Porta d’oro, e aspettammo coi cavalli, sotto una pioggia torrenziale, fino all’ora undecima nella quale Niceforo, che non ci reputò degni di cavalcare, ancorché fossimo ornati della vostra misericordia, ci comandò di avanzare e fummo accompagnati in quella casa di marmo, della quale ho parlato, odiosa, vasta e senz’acqua."
Infine, analizziamo gli insulti creativi di Liutprando sull'imperatore, sui suoi parenti, vestiti, parole e qualunque altra cosa possibile.
"Il sei [di giugno], poi, primo sabato di Pentecoste, fui accompagnato al cospetto del fratello di lui [Niceoforo], Leone, prefetto di palazzo e logoteta, dove fummo tartassati a lungo a causa della vostra qualifica di imperatore. Egli infatti non vi chiamava [all'imperatore di Germania] mai nella su lingua imperatore, cioè basileus, ma per disprezzo, adoperando la nostra, rega, vale a dire , re. E, poiché io gli dicevo che colui che veniva indicato rimaneva lo stesso, ancorché lo si designasse in diversa maniera, rispose che io ero venuto non per fare opera pacificatrice, ma per litigare.
Sorse, anzi, in piedi, irato e, pieno di sdegno, ricevette le vostre lettere non direttamente, ma per mezzo di un interprete. Egli è un uomo piuttosto alto, di una falsa umiltà, capace di trapassarela mano di chi gli si appoggiasse. Il sette giugno 968, nel santo giorno della Pentecoste, fui accompagnato al cospetto di Niceforo nella casa così detta Stefana, ossia Coronaria.
Niceforo è un uomo davvero mostruoso. Aveva una statura da pigmeo, con la testa grossa, che sembra una talpa per la piccolezza degli occhi. Imbruttito ancora da una barba corta, larga, folta, brizzolata. Deturpato da un collo alto un dito, con una chioma prolissa e fitta che orna una faccia di porco. Nero di pelle come un etiope, da far paura a chi lo avesse incontrato nell’ oscurità della notte. Grosso di ventre e magro di natiche. Lunghissimo di cosce rispetto alla sua piccola statura, corto di gambe, coi piedi piatti. Vestito con una veste di bisso vecchissima e divenuta, per l’uso quotidiano, fetida e ingiallita, con calzari alla moda di quelli di Sicione.
Un articolo di Emanuele Rizzardi
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Liuprando descrive l'impero bizantino come una società "sudicia e sfarzosa", per usare le parole del Manzoni. E devo dire che, nonostante la tara che si deve fare ai commenti pieni di astio dell'ambasciatore meno diplomatico che la storia abbia mai conosciuto, probabilmente in questo suo giudizio c'è del vero.
Particolarmente comica l'insistenza con cui esprime il suo disgusto per le abitudini alimentari dei bizantini. Lui, che appartiene ad un'orgogliosa aristocrazia di energici mangiatori di selvaggina arrosto, è sconvolto da una cucina che in tutti i piatti fa largo uso di olio, aglio, porro, cipolla... condimenti a base di fetido pesce, eredi del garum già citato dai classici... Trova incredibile che riescano a rovinare perfino il vino, riempiendolo di resine aromatiche.