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Immagine del redattoreEmanuele Rizzardi

Irene di Atene e l’affermazione dell’iconofilia


Irene appare sul palcoscenico della storia nel 768, quando divenne sposa dell’erede al trono dell’Impero Romano d’Oriente, Leone IV, figlio dell’imperatore Costantino V.

In quegli anni imperversava la politica iconoclasta, che bandiva il culto delle immagini, considerato conduttore di dottrine eretiche, e perseguiva i difensori della iconofilia, principalmente i monaci, che furono imprigionati o esiliati.

Irene, donna credente e devota, diede il suo consenso a non venerare le immagini, dissimulando la fede iconofila, che aveva ereditato dalla famiglia in cui era cresciuta.

Nel 775 Leone IV ascese al trono imperiale e attenuò la politica iconoclasta, favorendo l’illusione di alcuni funzionari di palazzo di poter ricollocare le icone sacre nella residenza imperiale. Lo storico francese Charles Diehl cita un episodio in cui pare che il marito avesse sorpreso la βασίλισσα Irene con due icone nascoste sotto il cuscino e non avesse, perciò, intrattenuto più con lei relazioni coniugali.

[1] La studiosa Leslie Brubaker ritiene, tuttavia, improbabile una simile circostanza, in quanto Irene non avrebbe potuto ottenere il consenso alle nozze con Leone IV, se non avesse abbracciato l’ideologia iconoclasta.[2] Nel 780, l’imperatore reagì duramente a questa iniziativa e destituì e punì quanti erano stati sospettati di iconofilia. Pochi mesi dopo, però, Leone IV morì improvvisamente, stroncato da un malore, e suo figlio Costantino VI, che aveva solo dieci anni, ereditò la porpora imperiale, affiancato dalla madre Irene in qualità di reggente dell’impero.

Fin da subito la giovane imperatrice fu chiamata a difendere il trono dalla superba ambizione dei fratelli di Leone IV e li costrinse a prendere gli ordini religiosi. Rinsaldò, inoltre, la sua posizione, contornandosi di uomini di sua fiducia, che furono nominati alle diverse cariche di governo. Nel 784, infine, Irene nominò patriarca di Costantinopoli il fidato segretario imperiale Tarasio, che sconfessò la fede iconoclasta, intento a ristabilire la venerazione delle immagini. Già nel 786, fu convocato un concilio a Costantinopoli nella chiesa dei Santi Apostoli, che, però, fu sciolto dall’irruzione di alcuni vescovi e soldati di fede iconoclasta.

Irene superò prontamente l’occasione fallita con fine e tenace astuzia, inviando i soldati iconoclasti in una campagna militare contro gli Arabi nei distretti orientali dell’impero. Allontananti in tal modo da Costantinopoli, l’imperatrice li sostituì con truppe che aveva assoldato per assicurarsi il fiducioso appoggio e sostegno. Nel 787, infine, il patriarca Tarasio convocò un concilio ecumenico a Nicea, che condannò l’iconoclastia e ristabilì il culto delle immagini, formulando una teologia ancora oggi rispettata dalla chiesa ortodossa. Anche i vescovi iconoclasti abiurarono pubblicamente il proprio credo e rimasero in carica. Nel novembre di quell’anno, anche Irene e il figlio Costantino VI apposero la firma al documento stilato dal concilio, in cui, secondo le parole dello storico Teofane, «non si decretò nulla di nuovo, ma si preservarono le tranquille dottrine dei santi e dei beati padri.»[3]

Poco tempo dopo il concilio di Nicea, l’imperatrice Irene scelse la giovane Maria d’Amnia come sposa per il figlio Costantino VI, che, ormai diciannovenne, «pur essendo forte e assai valente, non deteneva alcun potere.»[4] Ben presto, però, il giovane imperatore si ribellò, intento a svincolarsi dalla tutela della madre; nel 790, quindi, ordì una congiura contro il primo ministro Stauracio, uno dei consiglieri più vicini a Irene. Il complotto, però, fu scoperto dalla βασίλισσα, che punì rigorosamente i cospiratori e confinò il figlio nelle proprie stanze. Lo storico Diehl sentenzia che «da quel giorno l’ambizione uccise in lei l’amore materno.»[5]

Le truppe di stanza in Anatolia, però, insorsero e pretesero che Costantino VI fosse liberato e proclamato unico βασιλεύς. L’imperatrice Irene fu, dunque, allontanata dal palazzo imperiale insieme ai suoi collaboratori. Dopo appena due anni, tuttavia, il giovane imperatore richiamò a corte la madre e le conferì nuovamente il titolo di βασίλισσα associata al trono imperiale. Negli anni successivi, «bramosa di punire quelli che l’avevano tradita»,[6] Irene influenzò le scelte del figlio, corrodendo la reputazione dell’imperatore agli occhi dell’esercito e del popolo.

Il sostegno a Costantino VI si disintegrò, infine, quando, nel settembre del 795, decise di ripudiare la propria moglie Maria d’Amnia e di sposare la damigella Teodota. Già lo storico Teofane sottolineò che questa scelta fosse giunta «su consiglio di sua madre, che mirava al potere, affinché Costantino fosse accusato da tutti.»[7] I monaci Platone e Teodoro, autorevoli sostenitori dell’iconofilia, denunciarono aspramente il matrimonio adulterino e, quindi, a tal motivo Costantino VI ordinò l’arresto del primo e l’esilio del secondo.

Prontamente, intanto, Irene progettò un complotto contro il figlio, ormai delegittimato, così che, una volta destituito, potesse sostituirlo nella reggenza dell’Impero. Nel luglio del 797, Costantino VI fu arrestato e accecato dalla guardia imperiale, fedele all’imperatrice, e morì successivamente in seguito alle ferite. Deposto così il figlio, nel 797 Irene fu proclamata βασίλισσα di Bisanzio e divenne la prima donna a guida dell’Impero Romano d’Oriente.

Negli anni di governo, Irene concesse ampi vantaggi economici agli abitanti di Costantinopoli ed elargì larghi donativi ai monasteri, principali sostenitori della politica iconofila che perseguì tenacemente, fin dagli anni in cui aveva affiancato il figlio nel 780.

Si tramanda che in quegli anni fu proposto un accordo matrimoniale tra l’imperatrice di Bisanzio e Carlo, re dei Franchi, che fu incoronato imperatore del Sacro Romano Impero la notte di Natale dell’800. Il matrimonio avrebbe riunificato i territori dell’antico Impero Romano, ma non fu mai celebrato, probabilmente a causa dell’ostilità del clero e dei dignitari bizantini. Si potrebbe supporre che a tal motivo, nell’802, il logoteta postale Niceforo destituì la βασίλισσα dal trono imperiale.

Lo stupore e la costernazione degli abitanti della capitale alla destituzione di Irene furono descritti dallo storico Teofane in queste parole: «quanti avevano trascorso la loro vita in religiosità e ragione si meravigliavano del giudizio divino, perché aveva permesso che colei che aveva lottato da martire per la vera fede fosse spodestata da un porcaro.»[8]

La βασίλισσα Irene fu relegata dapprima nel monastero sull’isola di Πρίγκιπος, prospiciente Costantinopoli, e poi raggiunse Lesbo, dove morì nell’803.

Si concluse, così, la vita di una donna audace e determinata, che dimostrò abilità politica e scaltrezza d’azione, che le permisero di guidare l’Impero Romano d’Oriente. L’affermazione dell’iconofilia resta la principale eredità di Irene, che legittimò una devozione rituale radicata nel popolo, messa al bando durante gli anni dell’iconoclastia.


Un articolo di Riccardo Troiano


Bibliografia


Fonti antiche

Teofane Confessore, Cronaca

Studiosi

C. DIEHL, Figure bizantine, Einaudi, 2007

L. BRUBAKER, L’invenzione dell’iconoclasmo bizantino, Viella, Roma, 2016

[1] Charles Diehl, Figure bizantine, p. 67 [2] Leslie Brubaker, “L’invenzione dell’iconoclasmo bizantino”, p. 79 [3] Teofane Confessore, “Cronaca”, 462,30-31 [4] Teofane Confessore, “Cronaca”, 464,18-19 5 Charles Diehl, “Figure bizantine”, p. 78 6 Charles Diehl, “Figure bizantine”, p.79 7 Teofane Confessore, Cronaca, 469,24-25 [8] Teofane Confessore, “Cronaca”, 476,27-29

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ENGLISH VERSION


Irene of Athens and the rise of iconophilia


Irene appeared on the stage of history in 768, when she became the bride of the heir to the throne of the Eastern Roman Empire, Leo IV, son of Emperor Constantine V.

In those years, iconoclastic politics raged, which banned image worship, considered a conductor of heretical doctrines, and persecuted defenders of iconophilia, mainly monks, who were imprisoned or exiled.

Irene, a believing and devout woman, gave her consent not to worship images, disguising the iconophilic faith, which she had inherited from the family in which she had grown up.

In 775 Leo IV ascended the imperial throne and toned down the iconoclastic policy, furthering the illusion of some palace officials that they could relocate sacred icons in the imperial residence. The French historian Charles Diehl cites an incident in which her husband apparently caught βασίλισσα Irene with two icons hidden under her pillow and had, therefore, no longer engaged in marital relations with her.

[1] Scholar Leslie Brubaker believes, however, that such a circumstance is unlikely, as Irene could not have obtained consent to marry Leo IV if she had not embraced iconoclastic ideology.[2]

In 780, the emperor reacted harshly to this initiative and dismissed and punished those suspected of iconophilia. A few months later, however, Leo IV died suddenly, crushed by an illness, and his son Constantine VI, who was only ten years old, inherited the imperial purple, joined by his mother Irene as regent of the empire.

From early on the young empress was called upon to defend the throne from the superb ambition of Leo IV's brothers and forced them to take religious orders. She also strengthened her position by surrounding herself with men she trusted, who were appointed to the various government posts. Finally, in 784, Irene appointed the trusted imperial secretary Tarasius as patriarch of Constantinople, who disavowed the iconoclastic faith and was intent on restoring the veneration of images. As early as 786, a council was convened in Constantinople in the Church of the Holy Apostles, which, however, was dissolved by the irruption of some bishops and soldiers of the iconoclastic faith.

Irene promptly overcame the failed opportunity with fine and tenacious cunning, sending the iconoclastic soldiers on a military campaign against the Arabs in the eastern districts of the empire. Thus distancing them from Constantinople, the empress replaced them with troops she had hired to secure their confident support and backing. Finally, in 787, Patriarch Tarasius convened an ecumenical council in Nicaea, which condemned iconoclasm and re-established image worship, formulating a theology still respected by the Orthodox church today. The iconoclastic bishops also publicly abjured their beliefs and remained in office. In November of that year, Irene and her son Constantine VI also signed the document drawn up by the council, in which, in the words of the historian Theophanes, "nothing new was decreed, but the tranquil doctrines of the saints and blessed fathers were preserved."[3]

Shortly after the Council of Nicaea, Empress Irene chose the young Mary of Amnia as a bride for her son Constantine VI, who, by then 19 years old, "though strong and very valiant, held no power."[4] Soon, however, the young emperor rebelled, intent on freeing himself from his mother's tutelage; in 790, therefore, he hatched a conspiracy against Prime Minister Stauracius, one of Irene's closest advisers. The plot, however, was uncovered by the βασίλισσα, who strictly punished the conspirators and confined her son to his own chambers. Historian Diehl sentences that "from that day ambition killed motherly love in her."[5]

The troops stationed in Anatolia, however, rose up and demanded that Constantine VI be freed and proclaimed sole βασιλεύς. Empress Irene was, therefore, removed from the imperial palace along with her associates. After just two years, however, the young emperor recalled his mother to court and again conferred on her the title of βασίλισσα associated with the imperial throne. In the following years, "eager to punish those who had betrayed her,"[6] Irene influenced her son's choices, corroding the emperor's reputation in the eyes of the army and the people.

Support for Constantine VI finally disintegrated when, in September 795, he decided to repudiate his own wife Mary of Amnia and marry the damsel Theodotus. Already the historian Theophanes pointed out that this choice had come "on the advice of his mother, who aimed at power, so that Constantine would be accused by all."[7] The monks Plato and Theodore, influential advocates of iconophilia, bitterly denounced the adulterous marriage and, therefore, on that account Constantine VI ordered the arrest of the former and the exile of the latter.

Promptly, meanwhile, Irene planned a plot against her son, now delegitimized, so that, once deposed, she could replace him in the regency of the empire. In July 797, Constantine VI was arrested and blinded by the imperial guard, who were loyal to the empress, and later died as a result of his wounds. Having thus deposed her son, in 797 Irene was proclaimed βασίλισσα of Byzantium and became the first woman to lead the Eastern Roman Empire.

During her years of rule, Irene granted extensive economic benefits to the people of Constantinople and bestowed large donations to the monasteries, the main supporters of the iconophilic policy she tenaciously pursued, from the years when she had flanked her son in 780.

It is handed down that in those years a marriage agreement was proposed between the Empress of Byzantium and Charles, king of the Franks, who was crowned emperor of the Holy Roman Empire on Christmas night in 800. The marriage would have reunified the territories of the ancient Roman Empire, but it was never celebrated, probably because of the hostility of the Byzantine clergy and dignitaries. It could be assumed that for this reason, in 802, the postal logotet Nicephorus dismissed βασίλισσα from the imperial throne.

The astonishment and consternation of the inhabitants of the capital at Irene's dismissal were described by the historian Theophanes in these words, "as many as had spent their lives in godliness and reason marveled at the divine judgment, because it had allowed her who had fought as a martyr for the true faith to be ousted by a swineherd."[8]

βασίλισσα Irene was first relegated to the monastery on the island of Πρίγκιπος, overlooking Constantinople, and then reached Lesvos, where she died in 803.

Thus ended the life of a bold and determined woman who demonstrated political skill and shrewdness of action, which enabled her to lead the Eastern Roman Empire. The affirmation of iconophilia remains Irene's main legacy, which legitimized a deep-rooted ritual devotion among the people, outlawed during the years of iconoclasm.

An article by Riccardo Troiano


Bibliography


Ancient sources

Theophanes Confessor, Chronicle

Scholars

C. DIEHL, Byzantine Figures, Einaudi, 2007

L. BRUBAKER, The Invention of Byzantine Iconoclasm, Viella, Rome, 2016


[1] Charles Diehl, Byzantine Figures, p. 67.

[2] Leslie Brubaker, "The Invention of Byzantine Iconoclasm," p. 79

[3] Theophanes Confessor, "Chronicle," 462:30-31

[4] Theophanes Confessor, "Chronicle," 464,18-19

5 Charles Diehl, "Byzantine Figures," p. 78

6 Charles Diehl, "Byzantine Figures," p.79

7 Theophanes Confessor, Chronicle, 469,24-25

[8] Theophanes Confessor, "Chronicle," 476:27-29


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