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WULFILA: BREVE STORIA DELLA CREAZIONE DI UN ALFABETO, con Nicola Messina

Aggiornamento: 8 apr

Ringrazio l’associazione Byzantion che mi ha dato l’opportunità di presentare un personaggio sconosciuto ai più, ma il cui lavoro è importante per comprendere alcuni aspetti della storia dei rapporti tra Goti e Romani a partire dalla metà del IV secolo. Un argomento avvincente e complesso che ha influenzato la storia d’Europa. Un uomo che con la sua fede e intelligenza ha dimostrato che i Barbari non erano quegli inferiori che la propaganda romana faceva apparire.


Mi sono spesso chiesto quale possa essere il momento in cui un alfabeto compare; quando le combinazioni di lettere consentono alla lingua di diventare la formula migliore per intrattenere rapporti di varia natura tra le persone presenti in uno stesso ambiente, per poi andare a influenzare quelli limitrofi; come nasce un idioma e come si propaga tra la gente. La lingua italiana, ad esempio, è cominciata a formarsi alla fine dell’Impero Romano con le migrazioni barbariche all’interno della penisola. L’alfabeto latino, però, era già presente da secoli. L’arrivo di popoli dai gerghi più disparati ha contribuito a modificarlo grazie all’apporto di nuovi vocaboli e alla trasformazione di quelli già presenti. Alcune di queste migrazioni provenivano dall’area danubiana: inizialmente i Visigoti, che hanno poi proseguito verso Gallia, e di seguito gli Ostrogoti, che invece si sono fermati e hanno governato per circa sessant’anni. Essi possedevano un alfabeto creato nel IV secolo, quello del loro ingresso nell’Impero. Un elenco di circa ventisei lettere che è giunto sino ai giorni nostri dimostrando, di fatto, che le cosiddette “invasioni barbariche” non furono sempre degli atti violenti, ma apportarono dei significativi contributi al progresso culturale dell’Europa. A Wulfila, il creatore di questo alfabeto, viene attribuito il merito di aver dato inizio alla letteratura tedesca, alcuni studiosi si spingono oltre affermando che anche la lingua inglese è da annoverare tra i contributi dati dal suo lavoro. Anche se, per la verità, il dibattito accademico sulla sua influenza sembra essere ancora molto vivace.

Gli antichi Goti portavano con sé usanze pagane e una lingua ostica, supportate da una scrittura incomprensibile: il runico, composto da segni messi sulla pietra o sul legno e utilizzato dalle classi più agiate o per scopi religiosi. Con una simile distinzione l’incontro e la comprensione con i Romani potevano risultare difficili, se non ardui. Il carattere vagabondo di quelle genti, poi, non ha consentito loro di creare una società stabile e ben vista dai vicini. La loro principale attività, per mantenere il potere e integrare le insufficienze alimentari e monetarie, era la razzia.

Durante una di queste scorribande all’interno dei territori Romani, precisamente in Cappadocia (Turchia) tra il 264 e il 271 d.C., portarono con sé numerosi prigionieri, da utilizzare come schiavi, e tutti di fede cristiana che influenzarono gli strati sociali più bassi come i contadini e i pastori. La versione ariana del Cristianesimo, a partire dal 340 d.C. circa, divenne il dogma monoteista preminente nella zona danubiana e portò a un proselitismo diverso da quello cattolico. I precetti del concilio di Nicea saranno comunque presenti grazie ad alcuni vescovi di origine romana e gota, come Goddas. In zona ci furono anche altri scismatici in cerca d’ascolto, come i seguaci di Audio. Quindi, si può ben parlare di una diffusione del Cristianesimo, non capillare, ma variegata e popolare. Da lì poi si diffuse verso nord-ovest tra popoli come i Vandali o i Burgundi che divennero ariani.

La preminenza del dogma di Ario era dovuta alla presenza di tre esseri divini subalterni e distinti, come nel politeismo: Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Questo, per delle popolazioni pagane legate ai cicli della terra, risultava di più facile comprensione e similare al precedente credo.

Prendendo spunto da diverse fonti proverò a riassumere l’arianesimo. La dottrina venne introdotta nel dibattito sulla forma della Trinità dall’alessandrino Ario (260–336), di scuola neoplatonica. Essa rifiuta il concetto di “uguale natura”, espresso nella versione biblica originaria, tra Dio e Cristo, concedendo ampio spazio a quello di “somiglianza”. Infatti, esiste un unico Dio indivisibile, eterno e con una sua essenza divina. Al Figlio, generato e non eterno, viene negata la consustanzialità (fatto della stessa sostanza) formulata a Nicea nel 325 dai cattolici. Padre e Figlio non possono dunque essere identici. Il Cristo può essere detto “Figlio di Dio” soltanto in considerazione della sua natura creata e non posto allo stesso livello del Padre. Così facendo, Ario non negava di per sé la Trinità, ma la considerava costituita da tre entità diverse e distinte. La posizione dell’uomo e quella di essere assunto in paradiso, dopo una vita retta, analogamente al Cristo suo pari in cielo.

La versione nicena, invece, definiva che il Figlio fosse Dio quanto il Padre. Quest’affermazione portò gli ariani e i cattolici su posizioni inconciliabili e ad accuse reciproche di eresia. Quando gli Ariani vennero accettati, grazie a imperatori compiacenti, le parti si invertirono a discapito dei cattolici. Profonde lacerazioni si frapposero anche tra gli stessi Ariani: la fazione radicale, detta degli Anomei, fedele alla dottrina originaria secondo la quale “il Figlio è in tutto dissimile al Padre”; La fazione degli Omei o Ariani moderati, fra cui lo stesso Wulfila, che ritenevano “il Figlio simile al Padre ma non per proprietà di natura, bensì per dono di grazia, nei limiti, cioè, in cui la Creatura può essere paragonata al Creatore”; La fazione dei Macedoniani, secondo i quali “il Figlio è in tutto simile al Padre, mentre lo Spirito Santo nulla ha in comune con gli altri due”.

Wulfila, Ulfillas o Vulfila era il suo nome o epiteto che significava lupetto. Forse si chiamava Wulfs o anche Wulfus. Luogo di nascita è un villaggio della Gutthiuda (o Gothia, il regno confederato delle tribù Tervinge o Visigote) attorno al 311 da una madre le cui origini risalgono ai deportati dall’Asia Minore e da un padre forse Goto. La sua biografia non è completa, anzi tutt’altro. Si conosce la presunta data di nascita e che era un pastore, o un presbitero, quando venne inviato a Costantinopoli come ambasciatore dei Goti cristianizzati, non è chiaro se fosse un cattolico o già un ariano. Durante la sua permanenza nella capitale venne fatto vescovo delle genti presenti nella ex Dacia Romana. A consacrarlo, tra il 339 e il 341, fu colui che aveva battezzato Costantino in punto di morte, Eusebio di Nicomedia. Quest’ultimo era anch’esso un ariano omeo.

Il suo ritorno in Gothia sembrava l’inizio di una nuova era per il Cristianesimo. Alcuni anni dopo, però, cominciarono le persecuzioni da parte delle fazioni pagane guidate dallo Iudex Atanarico, il capo della confederazione che stava combattendo l’Impero Romano. Ricordo, tra le tante, quella di San Sabba rappresentata in diverse opere pittoriche. Il vescovo e i suoi fedeli furono costretti a lasciare le terre a nord del Danubio. Chiese il permesso all’Imperatore Costanzo II di essere stanziato, assieme alla sua gente, all’interno dell’Impero. L’Imperatore concesse al “nuovo Mosè” di stabilirsi a Nicopolis ad Istrum in Mesia. Gli esuli vennero chiamati “Goti Minori”, per distinguerli da quelli a nord del Danubio. Qui si sarebbero dedicati a una mite vita rurale e pastorale. In un momento imprecisato, Wulfila ebbe l’idea di dotare loro di un alfabeto con il quale tradusse le sacre scritture, così da ampliare i credenti, portare la conoscenza e l’alfabetizzazione. Nato e vissuto in mezzo a quella gente, desiderava che non fossero meno dei Romani istruiti, forse voleva dar loro una possibilità d’emancipazione dall’ignoranza. Infatti, come afferma Lars Munkhammar nel suo libro sul Codex Argenteus: “Tradurre la Bibbia nella propria lingua madre è stato sicuramente un atto patriottico, non solo un’opera religiosa. L’ambizione di dare inizio all’alfabetizzazione e all’istruzione del popolo goto, dal punto di vista di Wulfila, doveva richiedere come primo passo la traduzione della Bibbia in lingua gotica. Dare alla lingua gotica un apposito alfabeto al posto delle rune deve essere stato un indicatore del prestigio per la lingua stessa e al contempo, un modo per contrassegnare il passato in senso pagano e il futuro in senso cristiano, per il popolo goto”.

Quest’affermazione mi ha indotto a riflettere sul perché ideare un alfabeto in un simile contesto. Il Vescovo si prodigò nell’acculturare il popolo goto allo scopo d’integrarli nell’Impero Romano, dove entrambe le etnie avrebbero operato per il bene comune. Forse cercò di porre un freno all’intolleranza contro gli Ariani da parte della fazione vincente al concilio di Nicea. Ambrogio, ad esempio, era un incallito persecutore della loro eresia. Un pensiero che di sicuro lo preoccupava era relativo al successore di Valente, che era un ariano. Quindi, posso ipotizzare, che l’alfabeto servisse anche per convertire degli alleati dove trovare riparo dalle persecuzioni di un probabile regnante ortodosso. Con molta probabilità l’invenzione dell’alfabeto e la stesura della Bibbia servirono per asservire un popolo ai Romani, affinché coltivasse i campi e combattesse le loro guerre. Wulfila seguiva i suoi precetti d’indottrinamento, senza altri fini che non fossero la diffusione del messaggio cristiano, questo non bisogna dimenticarlo. Infatti, come lo stesso Wolfram afferma nella sua “Storia dei Goti”, molti seguaci di Wulfila non appoggiarono la rivolta di Fritigerno.

Wulfila lavorò con zelo e serietà. Posso immaginare che l’incontro e lo scambio d’idee tra Goti e Romani dovesse essere il filo conduttore per la stesura di un elenco di lettere prese, per questioni di praticità, dal greco, poi dal latino e, in piccola parte, dal runico. Si conosce ben poco di coloro che collaborarono nella stesura del testo. Alcuni divennero dei discepoli e continuarono con l’opera anche dopo la sua morte. Penso che abbia costituito un gruppo di lavoro, o qualcosa di similare, composto da studiosi e amanuensi di entrambe le etnie. Da qui, il passo verso le parole e le frasi deve essere stata la parte più difficile. La composizione dei significati di determinate usanze, oggetti, modi di dire e la creazione di testi comprensibili avrebbe condotto, poi, alla versione gotica della bibbia. Probabilmente incompiuta alla morte del vescovo.

Wulfila tradusse gran parte delle Sacre Scritture tranne alcuni libri dove si parlava troppo esplicitamente di guerra. A quanto sembra, la sua visione d’indottrinamento escludeva la violenza come esempio, anche per non stimolare gli istinti selvaggi che avevano accompagnato i Goti durante la grande migrazione dal Baltico e poi dal Mar Nero.

Il suo lavoro aiutò le classi dirigenti gote con uno strumento che permise loro di presentarsi ai Romani, se non alla pari, almeno adatti a un confronto. Il Vescovo, o un suo rappresentante, forse fu presente durante le trattative che permisero ai Tervingi, in fuga dagli Unni, di attraversare in massa il Danubio. Un rappresentante religioso che sindacasse l’offerta e la domanda tra le parti in causa. Non riuscì a invertire i pensieri negativi tra gli ufficiali romani, che sfruttarono l’occasione dei profughi per rimpinguare le proprie tasche. Così facendo scatenarono una guerra che sarebbe durata sei anni. Wulfila non appoggiò la ribellione, probabilmente tentò qualche mediazione o incaricò un suo adepto, come il prete che incontrò Valente poco prima della battaglia di Adrianopoli.

L’opera di Wulfila credo abbia ispirato Alarico re dei Visigoti, infatti lui era un Tervingio, del clan dei Balthung, cresciuto durante la grande crisi e a cui fu insegnata la fede cristiana, ma anche a leggere e a scrivere in latino e greco. Portò con sé la scrittura e quanto aveva appreso sino alle porte di Roma, dove, però, non gli servì a farsi accettare dalla corte di Ravenna, con gli esiti negativi che ben conosciamo.

Sul lavoro di Wulfila c’è ancora un acceso dibattito incentrato, perlopiù, su una sua traduzione alla lettera o dando importanza al senso delle vicende del Cristo e se questa abbia poi influenzato le trasposizioni successive. Resta il fatto che si tratta una delle più antiche della Bibbia. L’avere dato forma a sentimenti e pensieri in una scrittura ideata per un popolo che seguiva tradizioni pagane e orali fino ad allora ignoti, dà la misura della personalità e del senso di umanità del vescovo. Quindi, vista l’eccezionalità del progetto, presumo che abbia optato per il senso da dare alle vicende: visto che ha escluso dall’edizione i libri più propensi alla guerra. Credo che sia stato difficile dover spiegare ai Goti, dal carattere pragmatico, il tradimento di Giuda e l’abiura di Pietro. Questo anche per mitigare degli esempi negativi che avrebbero potuto influire sui rapporti con i Romani.

L’alfabeto non cessò di esistere con la morte di Wulfila, avvenuta a Costantinopoli nel 383. Una sua traduzione fu stampata nel VI secolo a Ravenna ed è conosciuta come il Codex Argenteus. Un vangelo redatto sotto il regno di Teodorico, forse un lussuoso regalo per lo stesso re. Redatto imprimendo le lettere su fogli di pergamena purpurea con dei stampi e poi ripassate con inchiostro dorato per la prima riga di ogni periodo, mentre d’argento per le successive. Credo che, per questo tipo di stampa, possa essere ricordato come un precursore della tipografia.

Agli svedesi, che lo custodiscono nell’Università di Uppsala dal 1669, è giunta solo una parte di un libro che in origine contava 330 fogli circa, mentre oggi ne sono rimasti 187, più qualche altro conservato in alcune collezioni e musei d’Europa. Un volume non di grande formato che ebbe una vita travagliata e un viaggio di oltre mille anni da Ravenna al Sud Italia per, infine, essere scoperto nel convento tedesco di Werden attorno alla metà del 1500. Un testo che, assieme agli scritti tacitiani, avrebbe risvegliato gli istinti nazionali germanici e la consapevolezza di avere una storia alle spalle al popolo della Svezia. Con molta probabilità alcune pagine, dopo la caduta del regno ostrogoto, vennero raschiate e riutilizzate come palinsesti. Forse subì la pulizia etnica culturale perpetuata dai Bizantini alle opere gotiche. Altri fogli vennero rubati o presi come dei souvenir, infatti un paio di essi vennero trovati in situazioni insolite, come le sepolture dei santi.

Gli svedesi, che occuparono Praga nel 1648, si impossessarono, oltre che dell’oro e dei preziosi, anche delle collezioni librarie lì presenti, per arricchire quella della loro regina Cristina. Nelle casse che trasportarono verso Nord c’era il nostro volume che venne ritenuto, dagli esperti dell’epoca, uno dei tanti libri degni di una “lettura in latrina”. Infatti, il bibliotecario della regina ritenne che la misteriosa scrittura fosse di scarsa importanza, questo prima di farla visionare a un noto esperto linguista olandese che, invece, capì l’importanza del manufatto.

Il Codex venne sottratto dalla biblioteca dell’Università di Uppsala da alcuni giovani nel 1995. Questo episodio causò un’ondata tale d’indignazione nazionale che i ladri furono costretti ad abbandonarlo in una cassetta di sicurezza presso una stazione dei treni, denunciando, in seguito, il luogo dove ritrovarlo. Il Codex Argenteus è il primo testo letterario in una lingua proto-germanica. L’unico testo sopravvissuto, quasi interamente, in lingua gotica. C’è ne sono altri, ma sono perlopiù dei frammenti.

La scrittura gotica ebbe di certo dell’influenza sui popoli incontrati dai Visigoti e dagli Ostrogoti in Gallia, Italia, Spagna. Forse passò in Britannia, dove erano sbarcati gli Angli e i Sassoni, andando a influenzare le loro lingue così da creare un inglese primitivo. Grazie alla grammatica della lingua gotica e alle altre opere linguistiche del professore Joseph Wright, tratte proprio dal Codex Argenteus, Tolkien, che era un suo allievo presso l’università di Oxford, ideò alcune delle lingue di fantasia presenti nel “Signore degli anelli”. Quindi, posso supporre che Wulfila, di quella meravigliosa opera letteraria inglese che ha influenzato l’immaginario di molti lettori, sia l’ispiratore sottinteso.

Perciò, è preziosa l’occasione per noi moderni, così abituati a milioni di lingue e a miliardi di messaggi e testi elettronici da poterci considerare l’ultima civiltà che lascerà dietro di sé qualcosa di scritto su carta che sopravviverà a futura memoria, apprendere che in un periodo travagliato ci fu chi pensò al futuro di un popolo, almeno dal punto di vista linguistico e forse oltre questo aspetto. L’alfabeto goto è un inequivocabile prova che le migrazioni non sono solo dei fenomeni che portano disagi, ma in ognuna di esse, e in ogni epoca, vi è la possibilità della creazione di stili culturali che rinnovano la società. Contro ogni speculazione nazionalista o politica che possa trascinare un’epoca lontana nei dibatti superficiali che ci circondano quotidianamente. Il riconoscimento storico di Wulfila sta nell’invenzione dell’alfabeto gotico. Le successive influenze sulle lingue germaniche moderne sono una diretta conseguenza del suo arduo lavoro. Questo mi fa ben sperare in un futuro fatto d’incontri e integrazione, con moderni Wulfila, nuovi alfabeti e tanti libri che porteranno giovamento a chiunque ne capisca il valore sociale e umano.


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