La storia dell’Impero Romano e della sua presunta “caduta” nel 476 d.C. è spesso insegnata nelle scuole occidentali in modo convenzionale, ma anche semplicistico e distorto. Secondo questa narrazione, l’Impero si sarebbe diviso in due entità: la parte occidentale, destinata a dissolversi nel V secolo, e la parte orientale, trasformata in una nuova entità chiamata “Impero Bizantino”. Gli abitanti di quest’ultimo, denominati “bizantini”, sono spesso descritti come un popolo enigmatico, quasi greco, emerso da chissà quale contesto storico. Questa descrizione, tuttavia, è erronea sotto molti aspetti e resiste più per convenzione, ignoranza o influssi ideologici che per un fondamento storico.
Il termine “bizantino” non fu mai usato dai protagonisti della storia che descrive. Esso venne coniato in ambito accademico tra il XVI e il XVII secolo, prevalentemente nella Germania protestante, e guadagnò popolarità durante l’Illuminismo. Gli intellettuali illuministi, in particolare anglofoni e germanici, avevano una visione molto negativa del Medioevo, periodo che consideravano come “età buia” dell’intelletto umano, in contrapposizione all’epoca classica, da loro esaltata. In questo contesto, la creazione di un termine come “bizantino” servì a separare simbolicamente il “nobile” Impero Romano classico da quello medievale, considerato corrotto e decadente.
Dietro questa classificazione artificiosa si nascondono pregiudizi culturali e geopolitici. Gli illuministi occidentali, in particolare di area franco-germanica e britannica, trovavano inconcepibile che l’eredità romana potesse appartenere a un mondo percepito come “orientale”: balcanico, siriaco, egizio. Ai loro occhi, Roma doveva rappresentare esclusivamente la civiltà occidentale franco-germanica, coerente con le grandi potenze europee del tempo: Gran Bretagna, Francia e Germania. Questa visione eurocentrica contribuì a sminuire la continuità storica e culturale tra l’Impero Romano classico e quello medievale.
Un esempio lampante di questo atteggiamento si trova nell’opera di Edward Gibbon, Declino e caduta dell’Impero Romano, testo cardine dell’Illuminismo. Gibbon liquidò l’Impero Romano d’Oriente con giudizi al vetriolo, definendolo un regno di “schiavi greci e storici servili”. Questa impostazione contribuì a radicare nell’immaginario collettivo l’idea che la parte orientale dell’Impero fosse una realtà stagnante e priva di interesse storico. Al contrario, gli stessi abitanti di quell’Impero si definirono sempre “Romani” (o, più precisamente, “Romani di lingua greca”), mantenendo una continuità identitaria e culturale rispetto all’epoca classica.
È interessante notare che il termine “greco” fosse usato in senso dispregiativo, specialmente dai Franchi, che cercavano di contrapporsi al prestigio di Costantinopoli. Allo stesso modo, i Romani orientali chiamavano “barbari” i Franchi o “Latini” i cattolici occidentali. Al contrario, i nemici orientali dell’Impero, come Arabi e Turchi, riconobbero sempre Costantinopoli come erede di Roma. Un esempio emblematico è il Sultanato dei Rum (ovvero dei Romani), fondato dai Selgiuchidi nei territori conquistati dell’Anatolia.
L’Impero Romano d’Oriente, o medievale, rappresentò una naturale evoluzione dell’Impero tardoantico. Sebbene vi fossero inevitabili cambiamenti istituzionali, culturali e linguistici, questa trasformazione non fu più radicale di quella che aveva portato dalla Repubblica al Principato, o dal Principato al Dominato. Nei primi secoli della sua storia, l’Impero medievale mantenne intatta la sua struttura istituzionale, adattandola alle nuove sfide geopolitiche, economiche e religiose.
Un’argomentazione spesso utilizzata per negare la continuità dell’Impero Romano è il trasferimento della capitale da Roma a Costantinopoli, avvenuto ufficialmente con la fondazione di quest’ultima nel 330 d.C. Tuttavia, Roma aveva già perso la sua centralità politica da tempo: altre città, come Ravenna, Milano, Antiochia e Nicomedia, avevano ospitato il potere imperiale. Costantinopoli, quindi, rappresentò un naturale punto focale per un Impero che si stava sempre più orientando verso l’est e verso il Mediterraneo orientale.
Per quanto riguarda la lingua, il passaggio dal latino al greco come lingua amministrativa rifletteva l’equilibrio culturale e demografico dell’Impero. Il greco era già ampiamente utilizzato in Oriente come lingua del commercio, della cultura e dell’amministrazione. Tuttavia, il latino non scomparve mai del tutto, convivendo con molte altre lingue regionali, come il copto, l’aramaico, l’illirico e l’armeno, che contribuivano alla ricchezza linguistica e culturale dell’Impero.
L’Impero Romano d’Oriente non fu mai un’entità separata o aliena rispetto all’Impero classico. Fu piuttosto la sua naturale continuazione e un testimone della straordinaria capacità di adattamento e resilienza della civiltà romana. La costruzione del mito del “Bizantino” come qualcosa di diverso dai Romani è il risultato di secoli di pregiudizi culturali e ideologici, che continuano a influenzare la percezione storica fino ai giorni nostri.
Parliamo di tutte le differenze fra Roma e Bisanzio anche in questo video. Qui invece trovate tutti gli stereotipi in uso in Italia su questo tema.
Un articolo di Emanuele Rizzardi
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