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Immagine del redattoreEmanuele Rizzardi

Marco Cappelli, da "Storia d'Italia" a "Per un pugno di barbari".

L'Associazione Culturale Byzantion è lieta di ospitare Marco Cappelli, noto podcaster e da poco scrittore, in questa nuova intervista sul nostro blog!


1) Parlaci di te, delle tue passioni, dei principali interessi... chi è Marco?


Sono una persona piuttosto poliedrica! Liceo classico, università Bocconi ed Economia Aziendale, lavoro nel marketing di un’azienda americana e ho spostato una russa-americana. Ho molte passioni: oltre alla storia, mi interesso di urbanistica, aviazione civile e tutto quello che è Nerd.

Però direi che, appunto, la mia più grande passione è da sempre la storia. Divoro libri su libri, da sempre ho sognato di divulgarla a modo mio. Da Ottobre 2018 produco “Storia d’Italia”, un podcast di storia che va in ordine cronologico, dalla battaglia di Ponte Milvio in avanti.






2) "Per un pugno di barbari", un titolo che ci riporta al tempo degli imperatori illirici. Come mai questa scelta?


Innanzitutto va detto che, avendo un podcast di storia che parte da Costantino, mi era rimasta la curiosità di coprire il periodo immediatamente precedente, in una sorta di “prequel”.

Chiunque abbia studiato un po' di storia romana si trova a suo agio – secondo me –con i primi due secoli di storia imperiale: Augusto e i Giulio-Claudi, i Flavi costruttori del Colosseo e distruttori di Gerusalemme, gli imperatori adottivi e l’apice dell’Impero: Nerva, Triano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio. Poi “Il Gladiatore” ci ha “insegnato” che arriva Commodo, e rovina tutto. Dopo la dittatura militare dei Severi, arriva un periodo confuso che nessuno studia nei dettagli: il periodo della cosiddetta anarchia militare.

Da sempre mi affascinano i periodi di crisi, assai più delle epoche d’oro: sotto stress, si può davvero comprendere di che pasta sono fatti gli uomini, le strutture politiche, le società. Nazioni e imperi costruiti su propositi fragili crolleranno alla prima folata di vento, quelli più solidi resisteranno anche agli uragani, anche se raramente possono farlo senza cambiare profondamente se stessi.

La storia che ho scoperto studiando questo periodo – già anni fa – è un’epopea di resistenza, di duro adattamento ad una nuova realtà. Ma è anche la storia di come i Romani seppero reinventarsi, di come riuscirono a mobilitare le risorse umane e materiali dell’Impero. E’ soprattutto la storia di come i conquistati, alla fine, hanno salvato la struttura creata dai loro conquistatori.


3) Quando hai iniziato a scrivere? Qual è stata la tua principale fonte di ispirazione?


Ho più volte pensato di scrivere un libro di storia, ma mi sono sempre trovato contro l’ostacolo della mia determinazione a farlo. Penso chiunque abbia scritto qualunque cosa ha nel cassetto una mezza dozzina di progetti che non hanno mai visto luce, almeno, questo è il mio caso. Quando ho però iniziato a produrre il podcast “Storia d’Italia”, per produrlo ho dovuto scrivere una puntata, poi un’altra, poi un’altra ancora. Alla fine, mi sono reso conto che potevo scrivere: quando è arrivata la chiamata dalla casa editrice mi sono sentito pronto ad affrontare la sfida!

La mia principale fonte di ispirazione sono gli storici anglosassoni, che ho notato puntano a scrivere libri ben ricercati ma anche leggibili: il mio preferito, da sempre, è Peter Heather. Ho però preso inspirazione anche da miei “colleghi” podcaster, in particolar modo Robin Pierson di “The History of Byzantium”, con il suo aplomb e la sua onestà intellettuale, e ho anche provato a riprendere l’umorismo e le citazioni nerd di Mike Duncan, del podcast “The History of Rome”. Sono i due miei podcaster preferiti.


4) Quale messaggio vuoi comunicare con il tuo libro?


Nel libro il capitolo finale è intitolato “la morale della favola”, come se l’intera storia narrata – da Marco Aurelio a Diocleziano – fosse una favola di Esopo. Per me è importante ribadire che la storia è sempre viva. In questo caso, nella storia di come Roma seppe risollevarsi dopo la sua crisi più buia ci vedo un importante insegnamento per l’Italia di oggi: non c’è sfida troppo grande, non c’è montagna che non possa essere scalata. L’importante è non rimanere attaccati ad un passato che non tornerà, e non farsi bollire come una metaforica rana.

5) Quale degli imperatori illirici ritieni più importante per la portata dei suoi fatti?

E’ una bella gara tra Aureliano e Diocleziano: il primo è un uomo di azione, il secondo un calcolatore. Aureliano ricostruisce l’unità dell’Impero, senza la quale Diocleziano non avrebbe mai potuto lanciare il suo rivoluzionario piano di riforme. Alla fine, è indubbio che Diocleziano sia stato quello con la più duratura influenza sulla storia mondiale – d’altronde è lui che plasma un Impero Romano 2.0, quello che in sostanza termina quando i Turchi aprono a forza di cannonate un varco nelle mura Teodosiane, nel 1453. Nonostante tutto questo, la storia di Aureliano si presta di più ad un dramma, o ad un film.


6) Trovi qualche parallelismo tra le rivolte dei soldati illirici nel terzo secolo, con quelle delle legioni galliche del secolo successivo?


Non c’è dubbio che le legioni renane provarono a più riprese, nel corso del quarto secolo, a imporre il loro volere sull’Impero, cercando di invertirne la traiettoria. La differenza più importante è nel successo: gli illirici presero e tennero il potere, le legioni galliche alla fine non ci riuscirono.


7) La situazione del cambio della classe dirigente è diretta conseguenza delle grandi separazioni di Palmira e delle Gallie?


A mio avviso, il cambio della classe dirigente è diretta conseguenza della crisi, della quale la separazione di Palmira e dell’Impero delle Gallie è solo il sintomo più evidente, anche se penso che per i contemporanei fosse altrettanto importante la svalutazione della moneta. Alla fine, fu la completa disillusione con il sistema politico e la delegittimazione della classe dirigente “naturale” dell’Impero a permettere il “golpe” che portò al potere la casta militare degli illirici.


8) Pensi che la storia romana debba essere rivalutata? Ci sono ancora troppi stereotipi in circolazione?


Ci sono moltissimi stereotipi in circolazione: il mito della “decadenza dei costumi”, del declino che dura ininterrotto per tre secoli, la caduta dell’Impero Romano al 476, i barbari come causa principale del declino dell’Impero. Più si studia la storiografia contemporanea, più si trovano chiavi di lettura innovative. Per quanto riguarda il periodo coperto dal libro, forse il mito più ingiustificato è che fu l’estensione della cittadinanza a tutto l’Impero ad indebolirlo: a mio avviso, se i Romani non lo avessero fatto l’Impero sarebbe caduto nel III secolo, vittima delle sue contraddizioni. Invece i figli e i nipoti dei “nuovi Romani” presero su di loro la responsabilità di salvarlo: un po' come se gli Indiani avessero deciso, invece di chiedere l’indipendenza, di provare a salvare l’Impero Britannico. La differenza tra India e Illirico è tutta lì: gli indiani non si sentivano britannici, gli illirici sì.


9) Cosa suggerisci a chi si approccia al mondo romano per la prima volta?


Suggerisco di disimparare tutto quello che da per scontato da decenni e approcciare la storia senza paraocchi mentali. La cosa più importante è comprendere che la storia romana non è la storia dell’Italia, o dell’Europa, e non è neanche la storia di popoli latini in guerra con i popoli germanici. l’Impero si estendeva su tre continenti, aveva almeno due lingue veicolari e il suo orizzonte era il Mediterraneo, un mare che per noi è più un confine che un veicolo di collegamento tra le sue sponde. Siamo abituati a leggere la storia con criteri nazionalistici, o di identità etniche, ma queste erano assai meno importanti per i Romani: occorre cercare di sforzarsi di vedere il mondo come lo facevano loro, se si vuole davvero comprendere la loro civiltà.


10) Progetti per il futuro?


Continuare a produrre il podcast ad oltranza! Sto finalmente per approcciare i due secoli di storia in cui l’Italia è divisa tra i Longobardi e l’Impero Romano, dal sesto all’ottavo secolo. Non vedo l’ora di coprire questo periodo poco conosciuto della storia italiana, dove ha origine tanta parte della sua identità, mentalità, conformazione geopolitica e molto altro ancora! Mi piacerebbe scrivere un altro libro, e ho già delle idee. Nel cassetto ho altri sogni, ma li tengo lì per ora, in attesa che qualcuno voglia provare ad aprirli!




Ti ringraziamo per essere stati con noi e speriamo di leggerti ancora sul nostro blog!

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