Oggi presentiamo un articolo di divulgazione tecnica, con particolare attenzione alle fonti per raccontare una storia lunga e articolata. Realizzato da K. Kovachev e tradotto da R. Brocchieri.
Le origini del desiderio di supremazia da parte della chiesa Romana possono essere tracciate fin dall'adozione del cristianesimo come religione ufficiale dell'Impero Romano nel IV secolo. Già nei primi concili ecclesiastici si notano differenze tra Oriente e Occidente (Kapriev 2017). Un secolo prima, papa Stefano I (254-257) si era già dichiarato "vescovo sopra i vescovi" e aveva minacciato tutti gli altri vescovi di scomunica se non riconoscevano il suo potere (Kalanev 1938: 11). Nonostante le minacce, c'è però una mancanza di coraggio e determinazione, che caratteristica dei Pontefici Romani che scompare solo dopo l'XI secolo.
La ricerca contemporanea è concorde nel ritenere che il principale dovere morale sentito da chi nel passato si autoproclamasse “possessore” della verità fosse quello di convincere le parti averse della correttezza delle sue idee (Dimitrova 1999: 8). Come prova delle sue affermazioni il Papato portava la donazione di Costantino (Constitutum Constantini), con il quale, secondo la leggenda, l'imperatore Costantino (306-337) aveva concesso il potere supremo ai "successori di San Pietro" (Runciman 1955: 42; Ullmann 2003: 86, Angelov 2009: 91-157, Neocleous 2019: 45, Barmin 2006: 131). Altra principale argomentazione a sostegno delle pretese occidentali erano le stesse parole di Gesù che definiva l'apostolo Pietro come la "pietra", la base su cui avrebbe costruito la sua chiesa (Matteo 16:18), e gli assegnava l'importante compito "di confermare i fratelli" (Luca 22:31-32), le parole di Cristo a Pietro sono state interpretate dai papi romani come un: "è stato detto di noi" (Dimitrov 1999: 14).
Già in questa prima fase del complesso rapporto ecclesiastico tra Roma e Costantinopoli ci si rese conto che usando le stesse parole di Cristo come argomento, nessun vero credente cristiano poteva opporsi, perché opporsi avrebbe significato opporsi alla persona e alle parole del Signore stesso. In seguito, queste azioni simboliche, narrate da San Matteo Evangelista divennero il pilastro del Papato e furono visualizzate e incluse in vari concetti iconografici, tra cui la popolare scena “Cristo affida all'apostolo Pietro alla guida della chiesa attraverso la simbolica consegna delle chiavi del Paradiso” (Gerov 1993: 48). Le parole di Gesù furono poi accettate dai delegati del Concilio di Reims nel 1046 come motivazione per la quale il suo successore, il Papa, oltre che Arcivescovo ecumenico, era anche un "apostolo" (Ullmann 2003: 85).
Come ulteriore argomento, la Santa Sede di Roma usò atti normativi e documenti della tarda antichità e dell'alto Medioevo. Ad esempio, il terzo canone del Secondo Concilio Ecumenico del 381, dove si decretava che "il vescovo di Costantinopoli ha un'anzianità onoraria, ma dopo il vescovo di Roma ..." (Gyuzelev 2013: 20, Daley 1999: 201). ). Il Papa contemporaneo a quel concilio, papa Damaso I (366-384), sosteneva non vi era bisogno di sinodi per affermare l'autorità di Roma in quanto riconosciuta dal Signore stesso (Moorhead 2015: 28). Questa è probabilmente una delle ragioni dei rifiuti dati dal clero romano agli inviti a partecipare ad alcuni dei concili organizzati in oriente (ad esempio, il Concilio Quinisesto). Sempre su questa base, veniva sottolineato l'obbligo delle chiese locali orientali di rispettare le decisioni di Roma come "fonte del loro potere" e di chiedere l'approvazione delle loro azioni al "successore di San Pietro" (Gyuzelev 2013: 20).
Tutto ciò ha dato motivo ai svari successori del "trono di San Pietro" di rivendicare il dominio non solo sui territori dell'Occidente europeo, ma anche su quelli del sud-est europeo. I concetti di "popolo di Dio" o dell’"istituzione visibile della Chiesa" non si limitavano ai soli cristiani dell'Occidente. Partendo da ciò, il Papato ha preteso di guidare l'intero "gregge di Cristo", ponendolo sotto la cura paterna del Papa romano. Ciò ha portato la sua immagine a modificarsi nel corso dei secoli: non più solo successore del "trono di San Pietro", ma anche l'"apostolo" e "vicario di Cristo", che ha ricevuto il potere non dagli uomini ma da Dio stesso (Kalanev 1938: 13). Come tale, ha ricevuto il diritto di "giudicare e punire tutti i vescovi", così come l'immunità dall’essere giudicato per le sue decisioni o azioni: fino alla aggiunta del concetto di "infallibilità" (Kalanev 1938: 11).
Ovviamente, le chiese locali orientali non potevano essere d'accordo con un tale concetto. Si sentivano minacciate dal desiderio dell'Occidente di controllare gli affari spirituali di tutti i cristiani, compresi quelli della diocesi del Patriarcato di Costantinopoli. Non sono mancati sacerdoti e monaci che chiedevano la conservazione dell'unità della Chiesa, ma sono rimasti schiacciati nel crescente confronto tra i vescovi di Roma e Costantinopoli. Le relazioni divennero al fine così tese da sfociare nell’arma estrema della disciplina ecclesiastica: l'anatema.
Il potere secolare (i re e gli imperatori) ha perso parte al conflitto, cercando di beneficiarne per ottenere il riconoscimento della propria autorità o per sostenere i suoi interessi, sostenendo l'una o l'altra chiesa. Il clero latino in seguito accusò l'"unione del trono e dell'altare" di essere d’ostacolo all’unita tra la chiesa d'Oriente e quella d’Occidentale. Ad esempio. è il sacerdote cattolico Krastjo Pejkić (1665-1731) condannò l'accordo tra il patriarca Acacio di Costantinopoli e l'"imperatore ingiusto e sbagliato Zenone" nel V secolo, a seguito del quale "eretico Pietro Mungo" salì al trono di Alessandria espellendo il "cattolico Giovanni Talaia"(Pejkico 2020: 59).
Volendo seguire l’esempio dell'imperatore Costantino, e di sviluppare l'idea della "nuova Roma", Giustiniano I il Grande (527-565) iniziò a realizzare enormi progetti legati alla costruzione della sua visione della capitale imperiale. I suoi tentativi di superare le opere del passato, espresso nelle parole "Salomone, ti ho superato", mostra la superiorità del suo lavoro su quello svolto dai suoi antenati, ma ricorda anche l'ordine appena creato. Pur conservando il diritto del "santo papa dell'antica Roma" di essere "il primo di tutti i sacerdoti", l'imperatore chiarì che "il beato arcivescovo di Costantinopoli della nuova Roma" non dovrebbe solo avere un onorato secondo posto (dopo il papa), ma anche essere "preferito a tutti gli altri" (Natanail 1873: 11). Secondo lo storico russo Vladimir Vasilik, ciò si riflette in seguito nelle risposte di papa Nicola I ai Bulgari, dove il sommo sacerdote romano affermò che Costantinopoli aveva acquisito dignità patriarcale con la forza e attraverso la "benevolenza del re" (Vasilik 2013: 60). Dopo l'VIII° secolo - effettivamente, la prima parte delle parole di Giustiniano fu usata come argomento per dimostrare il diritto del papa di governare i territori balcanici che gli erano stati sottratti nell'VIII° secolo. Questo diritto gli era stato assegnato non solo da Dio, ma anche confermato da parte del vicegerente terreno di Cristo - il sovrano.
Percependo la minaccia del crescente potere a Costantinopoli e l'eventuale ridistribuzione dei ruoli nella chiesa, papa Gregorio I (590-604) usò le fondamenta poste da papa Gelasio I (493-496) per affermare la sua posizione sostenendo che il titolo di "vescovo supremo" poteva essere indossato solo dal papa romano. Gregorio difese la tesi secondo cui la "Legge Divina" aveva indicato solo tre vescovi: Roma, Alessandria e Antiochia. (Vasilik 2013: 59). Temendo che un sovrano secolare potesse essere coinvolto nel conflitto, il papa insistette sul fatto che in questa fase iniziale il "mostro a due teste" a Costantinopoli doveva essere sconfitto e il mondo intero avrebbe dovuto riconoscere la propria obbedienza alla Chiesa romana (Gyuzelev 2013: 27-28). Papa Gregorio non solo fu coinvolto verbalmente nel dibattito con l'Oriente, ma decise di visualizzare le sue idee e mostrare il cambiamento per distinguersi dal "mostro a due teste" orientale. Perciò ordinò che i Santi Padri della Chiesa (compresi quelli occidentali come Agostino d'Ippona) fossero raffigurati sulle pareti dell'antica biblioteca del Palazzo Lateranensi (Beckwith 1988: 148). Inoltre riformò i santi servizi (Chiflyanov 1997: 39) e legittimò le regole monastiche di Benedetto da Norcia (480-547), accettate come base della vita monastica occidentale (Beckwith 1988: 147). Il papa sentiva come i territori balcanici della diocesi romana fossero geograficamente troppo vicini al nuovo centro politico e religioso di Costantinopoli e quindi più suscettibili alle influenze cristiane orientali. Il Papa prestò particolare attenzione ai luoghi strategicamente importanti situati sulla Via Militaris che portava a Costantinopoli. Per questo motivo, riprese severamente ogni possibile disobbedienza a Roma, che minacciavano non solo la sua autorità di "erede di San Pietro", ma prospettavano anche la separazione di queste terre dalla diocesi romana. Nella sua corrispondenza, il papa, che criticò la disobbedienza del clero di Serdica, raccomandò umiltà e costante obbedienza al "vostro amministratore, nostro fratello e co-vescovo" (Natanail 1873: 15). La severità del Santo Padre si nota anche in una lettera del papa romano Simplicio (468-483), che esprime il suo risentimento per le azioni del Patriarca Acacio (Pejkico 2020: 59).
Quando Costantinopoli diventò un fattore importante sulla mappa politica e culturale dell'Europa altomedievale e si iniziò ad affermare che il vescovo di Costantinopoli era superiore "a tutti gli altri", il papa romano decise di sperimentare una nuova, e in qualche modo inaspettata, mossa politica con gli strumenti propri dei teologi bizantini, rilanciando l'idea della pentarchia. In questo modo Roma cercava di rifiutare la supremazia di Costantinopoli. A questo proposito, e per opporsi alle idee dell'imperatore monotelite Filippico Bardane (711-713), papa Costantino (708-715) ordinò che i sei Concili Ecumenici - simboli dell'unità ecclesiale e della cattolicità - fossero raffigurati nell'antica basilica romana San Pietro (Vachkova 2015: 77).
Il papato, proseguendo nel solco tracciato da papa Gregorio, si rese conto che il "mostro" di Costantinopoli era "bicefalo" perché le autorità secolari spesso interferivano negli affari ecclesiastici. L'imperatore si era dichiarato "vicario di Cristo", con il risultato che poteva prendere posizione anche su questioni ecclesiastiche, affermando "Io sono imperatore e sacerdote" (Dagron 2003: 158, Bakalov 2011: 89). La crisi iconoclasta scoppiata nell'VIII° secolo cambiò profondamente le relazioni tra Oriente e Occidente. I teologi latini si schierarono in difesa dell'iconodulismo (Favie 2002: 129). I difensori delle icone nella capitale imperiale si appellarono personalmente al Papa romano per chiedere aiuto e videro nella sua persona il supremo patrono dell'ortodossia (Kolbaba 2000: 11). Papa Gregorio III (731-741) non tardò ad esprimere il suo inequivocabile sostegno agli iconoduli, opponendosi così alla politica del potere secolare di Costantinopoli. Il coinvolgimento del papa romano nel conflitto fu la reazione all'ostentato intervento dell'imperatore Leone III l'Isaurico negli affari ecclesiastici (Bakalov 2011: 89). Come punizione per la posizione papale dichiarata nel 732-733, furono emessi gli editti che toglievano le diocesi di Illirico, Sicilia e Calabria alla giurisdizione della Chiesa romana (Simeonova 1998: 57, Gyuzelev 2013: 31, Komatina 2016: 47).La Chiesa romana non dimenticò mai questo affronto. Nel XI e nel XIV secolo, l'istituzione papale tornò a pretendere ripetutamente le "terre sequestrate illegalmente" e a chiedere il ritorno dell'Illirico nella Chiesa romana. In questo modo, l'area diventò una "zona contesa tra Roma e Costantinopoli" (Traykova-Yoanina 2019: 19). Tali momenti di crisi, legati alle perdite territoriali (non solo nei Balcani, ma anche nell'Esarcato d'Italia), furono uno dei motivi per cui il Papato iniziò a plasmare la sua politica anti-bizantina.
Con l'intronizzazione del patriarca Fozio I di Costantinopoli (858–867, 877–886) iniziò una nuova fase nei rapporti tra Roma e Costantinopoli. Questa fase è segnata dai tentativi della Chiesa romana di farsi restituire le diocesi gli erano state sottratte. In questo spirito, va letto l'ultimatum inviato da papa Niccolò (858-867) al patriarca Fozio: Roma avrebbe accettato di inviare i suoi delegati al convocato Concilio ecumenico, ma, in cambio, Costantinopoli doveva restituire alla Santa Sede l’autorità sull'Illirico, Sicilia e Calabria (Simeonova 1998: 61). Le tensioni scoppiarono anche sul "filioque" che Fozio definì come una "ghirlanda di malvagità" (Kolbaba 2000: 41). Nell'867, il patriarca Fozio accusò il Papa romano di eresia e condannò gli errori della Chiesa occidentale, inclusa la perversione della dottrina dell'effusione dello Spirito Santo ( Kalanev 1938: 13, Kerns 1998: 211, Nikolova 2001: 19). Opponendosi al latino "filioque", Fozio pubblicò un'opera polemica speciale "De S. Spiritus mystagogia", in cui difendeva l'idea orientale (Hussey 1937: 30).
Nel conflitto tra Oriente e Occidente, i Bulgari occuparono un posto significativo, dato che esitavano a scegliere da quale chiesa accettare il loro battesimo cristiano: Roma o Costantinopoli. Era importante per Costantinopoli che i Bulgari riconoscessero il vero insegnamento di Cristo e comprendessero l'unità della chiesa e la cattolicità. Ci si aspettava che accettassero il concetto che il capo della Chiesa non era il Papa, contrariamente ai concetti occidentali, ma Gesù Cristo stesso. A questo proposito, Fozio ricordava al sovrano bulgaro Boris le decisioni dei Concili Ecumenici: "Perché attraverso di loro ogni innovazione ed eresia è bandita, e il puro insegnamento dell'Ortodossia è così stabilito nelle anime dei pii che acquisisce indubbia santità" (Duychev 1961: 61). Il Patriarca di Costantinopoli scrisse anche una lettera a Papa Niccolò I, in cui affrontava il tema dei Concili Ecumenici e dei loro postulati riguardanti la fede e il Credo niceno (Simeonova 1998: 55). Nelle sue lettere al clero latino, papa Niccolò osservava che i bizantini "cercavano di attribuirci crimini eretici" e si ispiravano "all'odio" per il mancato riconoscimento da parte di Roma dell'elezione del Patriarca di Costantinopoli. Rispose con un anatema per Fozio, descritto come "una prostituta che aveva rapito la Chiesa di Costantinopoli". Nella stessa lettera, il papa definiva i Bizantini "ispirati dall'odio" perché il sovrano bulgaro "ha chiesto al trono del beato Pietro un mentore e un'esposizione della fede". Secondo il Pontefice romano, le autorità spirituali di Costantinopoli "vogliono e lavorano per separare gli stessi Bulgari dall'obbedienza al beato Pietro e sottometterli astutamente alla loro autorità". Il Papa fece anche un confronto tra le due chiese, sia pure soggettivo e a favore di quella romana. Ritrae i Bizantini come bugiardi ispirati dall'odio e dalle prostitute.
Qui si nota un'eredità del pensiero romano antico sulla "Grecia bugiarda" ( Nikolov 2006 : 400) e su "l'astuzia dei Greci" (Isidorus Hispalensis 1958: 384). Papa Niccolò insisteva sul fatto che - a differenza della Chiesa di Costantinopoli, la Chiesa Romana "non ha macchia, svantaggio o altro " (Nicolai Papae I 1960 : 63-64, Angelov 2011: 106) The dynamic relations between Rome and Constantinople (first part)
Wriitten by Kristiyan Kovachev
Translated by Roberto Brocchieri
This text describes the dynamic relations between Rome and Constantinople in the Middle Ages.
The roots of the desire for supremacy can be traced further with the adoption of Christianity as the official religion of the Roman Empire in the IV century. In the earliest church councils differences between East and West can be noticed (Kapriev 2017). A century earlier, Pope Stephen I (254-257) declared himself "bishop above bishops" and threatened all other bishops with excommunication from the Church if they didn't recognize his power (Kalanev 1938: 11). Despite the threats, there is a lack of courage and determination, which characteristic of Roman high priests disappears after the eleventh century.
Contemporary researchers accept that the moral duty of the self-proclaimed "possessor" of the truth for the past was to convince the other party of the rightness of the idea he was defending (Dimitrova 1999: 8). As proof of its claims, the Papacy shown the so-called gift of Constantine, through which - according to legend - Emperor Constantine (306-337) granted supreme power to the "deputies of St. Peter" (Runciman 1955: 42; Ullmann 2003: 86, Angelov 2009: 91-157, Neocleous 2019: 45, Barmin 2006: 131). The West also cited the words of Jesus as the main argument, with which he defined the apostle Peter as a "stone" - the foundation on which he would build his church (Matt. 16:18), and with which he assigned the important task of the apostle "to establish the brethren” (Luke 22: 31-32) Christ's words to Peter was interpreted by the Roman popes as "it was said of us" (Dimitrov 1999: 14).
Even at this early stage of the complex church relationship between Rome and Constantinople, the hierarchs realized that by using Christ's own words as their argument, no true Christian believer could and should afford to opposed them, because opposing them would mean opposing the person and the words of the Lord Himself. Later, these symbolic actions, narrated by St. Evangelist Matthew became the mainstay of the Papacy, were visualized and included in various iconographic concepts, including the popular scene Christ entrusts to the Apostle Peter the leadership of the church through the symbolic handing over the keys for Paradise (Gerov 1993: 48). The Lord's address to the Apostle Peter was accepted by the delegates of the Council of Reims in 1046 as an argument that his successor - the Pope, in addition to the Ecumenical Archbishop, was also an "apostle" (Ullmann 2003: 85).
As an additional argument, the Holy See in Rome derives normative acts created in the period of late Antiquity and the early Middle Ages. It used as an argument the third canon of the Second Ecumenical Council of 381, where it is decreed that "the bishop of Constantinople has an honorary seniority, but after the bishop of Rome…" (Gyuzelev 2013: 20, Daley 1999: 201). The contemporary of this council, Pope Damasus I (366-384), did not need any synods to recognize the authority of Rome once it was recognized by the Lord Himself (Moorhead 2015: 28). This is probably one of the reasons for the refusals given by Roman clergy to invitations to some of the organized councils (for example, the Quinisext Council). In this spirit, the obligation of the eastern local churches to comply with the decisions of the Roman as the "source of their power" and to demand approval for their actions from the "successor of St. Peter" was emphasized (Gyuzelev 2013: 20).
All this gave grounds for the next successors of the "throne of St. Peter" to claim dominance not only in the territories of the European West, but also those in the European Southeast. The concept of the membership of the "people of God" in the "visible institution of the Church" nowhere mentioned that it was only the Christians of the West. With this conscious lack of concretization, the Papacy shown its claim to lead the whole "flock of Christ" under the paternal care of the Roman pope. Thus his image is modified over the centuries: he was no longer only the successor to the "throne of St. Peter", but also the "apostle" and "vicar of Christ", who received power not from men but from God Himself (Kalanev 1938: 13). As such, he received the right "to judge and punish all bishops", as well as immunity from seeking responsibility for his decisions or actions: to his image was added "infallible" in his deeds (Kalanev 1938: 11).
Eastern local churches, however, cannot agree with such a concept. They felt threatened by the West's desire to control the spiritual affairs of all Christians, including those of the diocese of the Patriarchate of Constantinople. There were no shortage of priests and monks calling for the preservation of the unity of the Church. But they seem to be lost in the growing confrontation between the bishops of Rome and Constantinople. Relations became so tense that the ultimate rigor of church discipline was expressed: anathema.
The secular power (the kings and the emperors) took its place in the conflict, trying to benefit and gain recognition of itself as such or of some of its ideas, supporting one or the other church. The Latin clergy later accused the "union of the throne and the altar" of separating the Eastern from the Western Church. An example is the Catholic clergyman Krastjo Pejkić (1665–1731), who described the agreement between the patriarch Acacius of Constantinople and the "unjust and wrong emperor Zeno" in the 5th century, as a result of which "heretic Peter Mongus" ascended the throne of Alexandria and the "Catholic John Talaia" was expelled (Pejkic 2020: 59).
Trying to continue the work of Emperor Constantine, but also to develop the idea of the "new Rome", Justinian I the Great (527-565) began to implement huge projects related to the construction of the new vision of the imperial capital. His ridicule of the past, expressed in the words "Solomon, I have surpassed you," shows the superiority of his work over that built by his ancestors, but also reminds of the newly created order. Although he retained the right of the "holy pope of ancient Rome" to be "the first of all priests", the emperor made it clear that "the blessed archbishop of Constantinople of the new Rome" should not only have an honorable second place (after the pope), but also to be "preferred over all others" (Natanail 1873: 11). According to the Russian historian Vladimir Vasilik, this was later reflected in the answers of Pope Nicholas I to the Bulgarians, where the Roman high priest mentioned that Constantinople had acquired patriarchal dignity by force and through the "benevolence of the king" (Vasilik 2013: 60). After the 8th century - selectively, the first part of Justinian's words was used as an argument in proving the pope's right to rule the Balkan territories seized from him in the 8th century. This right assigned to him not only by God but also with the corresponding confirmation by the earthly vicegerent of Christ - the ruler.
Sensing the threat of rising power in Constantinople and the eventual redistribution of roles in the church, Pope Gregory I (590-604) set foot on the foundations laid by Pope Gelasius I (493-496) to state his position that the title "supreme bishop” could be worn only by the Roman pope. Gregory defended the thesis that "Divine Law" pointed only three bishops - Rome, Alexandria and Antioch. (Vasilik 2013: 59). Fearing that a secular ruler might be involved in the conflict, the pope insisted that at this early stage the "two-headed monster" in Constantinople must be defeated and the whole world should recognize own obedience to the Roman Church (Gyuzelev 2013: 27-28). Pope Gregory was not only verbally involved in the debate with the East, but decided to visualize his ideas and show the change to distinguish himself from the Eastern "two-headed monster". In this way he ordered that the Holy Fathers of the Church (including Western ones such as Augustine of Hippo) be depicted on the walls of the old library of the Lateran Palace (Beckwith 1988: 148). He reformed the holy services (Chiflyanov 1997: 39). He legitimized the monastic rules of Benedict of Nursia (480-547), accepted as the basis of Western monastic life (Beckwith 1988: 147). The pope also felt threatened that the Balkan territories of the Roman diocese were geographically too close to the new political and religious center of Constantinople and hence more susceptible to Eastern Christian influences. The Pope paid special attention to the strategically important places located on the Via Militaris leading to Constantinople. Because of this, he was strict about any disobedience to Rome, which threatens not only his authority as "heir of St. Peter", but also the separation of these lands from the Roman diocese. In his correspondence, the pope, who criticized the disobedience of the clergy of Serdica, recommended humility and constant obedience to "your steward, our brother and co-bishop" (Natanail 1873: 15). The sternness of the Holy Father was also seen in a letter of the Roman Pope Simplicius (468-483), expressing his resentment at the actions of Patriarch Acacius (Pejkic 2020: 59).
When Constantinople was formed as a factor on the political and cultural map of early medieval Europe and claimed that the Constantinople's bishop to "preferred to all others", the Roman pope decided to take a new and somewhat unexpected political move with the instruments of Byzantine theologians, recalling the idea of the pentarchy. In this way Rome sought to refuse Constantinople from the idea of supremacy. In this regard, and to oppose the ideas of the Monothelite emperor Philippikos Bardanes (711-713), Pope Constantine (708-715) ordered the six Ecumenical Councils - symbols of ecclesial unity and catholicity - to be depicted in the old Roman basilica "St. Peter” (Vachkova 2015: 77).
The papacy, following the covenants left by Pope Gregory, realized that the "monster" of Constantinople was "two-headed" because secular authorities often interfered in church affairs. The emperor declared himself "vicar of Christ," from which it followed that he could also take a stand on ecclesiastical matters, uttering the words "I am emperor and priest" (Dagron 2003: 158, Bakalov 2011: 89). The iconoclastic crisis that erupted in the 8th century dynamically changed the relations between East and West. The Frankish theologians confidently argueа in defense of the iconodulism (Favie 2002: 129). The defenders of the icons in the imperial capital appealed personally to the Roman pope for help and saw in his person the supreme patron of Orthodoxy (Kolbaba 2000: 11). Pope Gregory III (731-741) was not late in his unequivocal support of the iconophilists, thus opposing the policy of secular power in Constantinople.
The involvement of the Roman pope in the conflict was the result of the ostentatious intervention of Emperor Leo III the Isaurian in church affairs (Bakalov 2011: 89). As a punishment for the stated papal position in 732-733, edicts were issued in Constantinople, which separated the dioceses of Illyricum, Sicily and Calabria from the jurisdiction of the Roman Church (Simeonova 1998: 57, Gyuzelev 2013: 31, Komatina 2016: 47). This was the turning point that the Roman Church never did not forget. In the 11th and 14th centuries, the papal institution repeatedly recalled the "illegally seized lands" and called for God's justice for the return of Illyricum to the Roman Church. In this way, the area became a "disputed area between Rome and Constantinople" (Traykova-Yoanina 2019: 19). Such moments of crisis, related to territorial losses (not only in the Balkans, but even in the Exarchate of Italy), were one of the reasons why the Papacy began to shape its anti-Byzantine policy.
With the enthronement of Patriarch Photios I of Constantinople (858–867, 877–886) began a new stage in relations between Rome and Constantinople. This stage was also marked by attempts by the Roman Church to return the confiscated lands. In this spirit was the ultimatum sent by Pope Nicholas (858-867) to Patriarch Photius: Rome would agree to send its delegates to the convened Ecumenical Council, but - in return - Constantinople must return to the Holy See the confiscated lands of Illyricum, Sicily and Calabria (Simeonova 1998: 61). Tensions also erupted over the Latin "filioque" which Photius defined it as a "wreath of evil" (Kolbaba 2000: 41). In 867, Patriarch Photius accused the Roman pope of heresy and condemned the fallacies of the Western Church, including the perversion of the doctrine of the outpouring of the Holy Spirit (Kalanev 1938: 13, Kerns 1998: 211, Nikolova 2001: 19). Opposing the Latin "filioque", Photius published a special polemical work "De S. Spiritus mystagogia", in which he defended the Eastern idea (Hussey 1937: 30).
In the conflict between East and West, the Bulgarians had a significant place, who hesitated from which church to accept their Christian baptism - whether from Rome or Constantinople. It was important for Constantinople for Bulgarians to be acquainted with the true teaching of Christ and to be reminded of church unity and catholicity. They were expected to make sense of and accept the concept that the head of the Church is not the pope - contrary to Western concepts, but Jesus Christ Himself. In this connection, Photius reminds Bulgarian ruler Boris of the decisions of the Ecumenical Councils: „Because through them every innovation and heresy is banished, and the pure teaching of Orthodoxy is so established in the souls of the pious that it acquires undoubted holiness” (Duychev 1961: 61). The Patriarch of Constantinople also sent a letter to Pope Nicholas I, in which he opened the topic of the Ecumenical Councils and their postulates concerning the faith and the adopted Nicene Creed (Simeonova 1998: 55). In his letter to the high Frankish clergy Pope Nicholas noted that the Byzantines "tried to attribute heretical crimes to us" and they were inspired by "hatred" for Rome's non-recognation of the election of Patriarch of Constantinople. An anathema followed for Photius, described as "a whore and kidnapper of the Church of Constantinople". In the same letter, the pope described the Byzantines as "inspired by hatred" because the Bulgarian ruler "asked the throne of Blessed Peter for mentors and an exposition of the faith". According to the Roman high priest, the spiritual authorities in Constantinople "want and work excessively to separate the same Bulgarians from the obedience of Blessed Peter and cunningly subdue them to their authority". The Pope allowed himself to make a comparison between the two churches, albeit subjectively and in favor of the Roman. He portrays the Romans as liars inspired by hatred and whores. Here we see a legacy of ancient Roman thinking about the "liar Greece" (Nikolov 2006: 400) and the "cunning of the Greeks" (Isidorus Hispalensis 1958: 384). Pope Nicholas insisted that - unlike the Church of Constantinople, the Roman Church "has no stain or disadvantage or anything like that" (Nicolai Papae I 1960: 63-64, Angelov 2011: 106).
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