L'Associazione culturale Byzantion ha il piacere di ospitare Sarah Procopio, per un interessante approfondimento sulla Calabria nei secoli IX-XI sec.
Piacere mio e vi ringrazio per l’interesse dimostrato verso questo tema.
Come prima cosa, ci racconti un po’ di te e di cosa ti occupi!
Ho 26 anni, mi sono laureata in Scienze Storiche e Orientalistiche presso l’Università di Bologna, e ora vivo a Parigi dove svolgo il dottorato di ricerca in Storia Medievale presso l’Université de Paris VIII Vincennes - Saint Denis. Il mio tema di ricerca concerne il commercio della seta grezza calabrese durante lo sviluppo dell’economia globale tra 1400 e 1500.
Partiamo da un tema personalmente a me caro: l’importanza del monachesimo basiliano, cosa ne pensi?
Chiarisco subito che non sono un’esperta di monachesimo basiliano, tema molto complesso su cui ci sarebbe ancora molto da approfondire e soprattutto vi sono tanti interrogativi irrisolti. Ho acquisito questa consapevolezza durante la stesura della mia tesi di laurea magistrale concernente le relazioni commerciali tra la Calabria e la Dar al-Islām (IX e XI secolo), all’interno della quale ho dedicato uno spazio al ruolo socio-economico delle comunità monastiche. Occorre sottolineare che il monachesimo calabrese infatti si è manifestato in diversi modi: inizialmente con un carattere eremitico in seguito all’arrivo dei monaci greci (all’incirca nell’VIII secolo) e poi, via via, cenobitico, in particolar modo dopo l’opera di rilatinizzazione normanna.
Credo che il monachesimo basiliano, così come le altre forme di monachesimo in Calabria, abbia contribuito in vari modi: promuovendo la cultura greca, lasciando testimonianze pittoriche del periodo e incentivando la crescita economica del territorio attraverso l’utilizzo di nuove tecniche di lavoro. I monaci, molti dei quali provenienti dal Vicino Oriente, erano conoscitori di tecniche agricole innovative attraverso le quali sfruttarono le potenzialità del territorio calabrese, ma soprattutto le divulgarono e resero partecipi di questa crescita anche la popolazione laica, la quale si giovò di questo sapere per i secoli successivi.
Parliamo delle popolazioni che vivevano in Calabria. Erano un gruppo omogeneo oppure no?
Ritengo che la Calabria sia a tutt’oggi un territorio disomogeneo, basti pensare alle differenze linguistiche e culturali tra l’area cosentina, catanzarese e reggina, e credo che queste derivino sostanzialmente da quel contesto multiculturale soprattutto medievale. Dalla Calabria, come dico sempre a mo’ di battuta, “ci sono passati tutti”, ed effettivamente oltre alle presenza greca e latina, ci sono stati gli arabi, gli slavi, gli ebrei, e ognuno ha lasciato il segno sul territorio. Presumo che la convivenza non sarà sempre stata felice, ci saranno stati degli elementi di discordia, in quanto il differenziarsi non derivava solo dalla coscienza di ciascuna realtà, ma anche dalle norme adottate verso ciascuna di esse, specialmente provvedimenti economici differenziati che potevano innescare degli atteggiamenti negativi verso un gruppo piuttosto che un altro. Nonostante questo penso che complessivamente la Calabria ne sia uscita arricchita e basta visitarla per rendersi conto di quanto il patrimonio calabrese abbia beneficiato di quel contesto così variegato.
I saraceni e il loro tentativo di creare un emirato in loco, perché non è stato fruttuoso, secondo te, come invece fu in Puglia?
Occorre innanzitutto precisare che sarebbe necessaria una revisione della storia dei musulmani nella nostra penisola, soprattutto alla luce delle fonti arabe e dei più recenti riscontri archeologici. Quindi, qualsiasi considerazione potrebbe essere assolutamente contestata. Premesso ciò, penso che si debba riflettere su due dati: il primo, la necessità dell’Impero Bizantino di difendere più che altrove il suo ultimo avamposto sostanzialmente la Calabria; il secondo, i problemi presenti all’interno della stessa Dar al-Islām, i quali spesso condizionavano la riuscita delle missioni islamiche altrove. Inoltre, non si può tralasciare il ruolo della popolazione locale, da questo punto di vista la popolazione calabrese si schierò dalla parte del potere bizantino, cosa che, ad esempio, non era successa in Sicilia durante la sua conquista e facilitò nettamente la presa dell’isola.
È lecito affermare che la formazione dei centri di poteri calabresi nell’entroterra, piuttosto che sulla costa, sia dovuto ad una precisa strategia difensiva della popolazione locale?
Lo chiederei ad un archeologo, ma per quel che ho avuto modo di leggere, certamente sì. La popolazione durante le incursioni cercava ovviamente rifugio nell’entroterra. Ancora oggi visitando molti dei borghi calabresi emerge proprio questa caratteristica e soprattutto si ha la percezione di avere sempre la possibilità di vedere chi viene dal mare. Molte infatti furono le città sorte in quel periodo, penso alla mia città d’origine, Catanzaro, sorta su “tre colli” proprio per volere bizantino durante le incursioni islamiche.
Secondo te quale è stato il periodo aureo della Calabria, nei secoli da te trattati?
È veramente difficile scegliere un periodo perché la storia calabrese è contraddistinta da repentini e ripetuti cambi di potere che ne hanno segnato la società, la cultura e l’economia. La posizione geografica però ha permesso alla Calabria di mantenere una costante interazione col Mediterraneo e di non perdere mai l’occasione di arricchirsi da ciò che di positivo potesse arrivare da altre sponde. Lo studio del Tardo Medioevo calabrese effettivamente mi sta facendo conoscere molti aspetti positivi soprattutto per l’economia e la società, ma devo dire che anche i secoli tra IX e XI, nonostante le difficoltà mi avevano permesso di illustrare una Calabria attiva, dinamica e piena di risorse. Ecco, se mi venisse chiesto, qual è il periodo aureo della Calabria in generale, risponderei il Medioevo! Proprio di recente, vedendo il docufilm di Vittorio de Seta, “ I dimenticati”, girato nel 1959, mi ha fatto riflettere su come la struttura economica e sociale calabrese sembrasse in realtà invariata dal Medioevo fino a quel momento. Le attività praticate e le tradizioni che emergono dal documentario sono proprio quelle sorte nel periodo medievale, e molte grazie ai monaci di cui si parlava prima!
Possiamo affermare che la Calabria è sempre stato un territorio di difficile gestione e perché?
Credo che la geografia del territorio abbia molta responsabilità. In primo luogo perché è realmente difficile connettere l’entroterra, e penso che queste caratteristiche abbiano in qualche modo segnato anche il carattere della popolazione stessa. Senza voler fare considerazioni banali, né assecondando alcune delle immagini che mi sovvengono dai racconti del periodo del Grand Tour, certamente un forte individualismo ha compromesso la crescita del territorio e di conseguenza ne ha comportato una difficile gestione dello stesso. La storia della regione ne ha segnato il suo presente in maniera evidente, ma devo dire che è anche una storia comune del Meridione italiano. Sebbene ci siano ancora molti temi su cui riflettere ulteriormente, penso che il quadro fornito da “Alle origini del dualismo italiano” (Rubbettino 2012) sia alla base per comprendere la difficoltà di gestione del Sud e della Calabria nello specifico e proprio partendo dalle radici medievali di questi problemi. Allo stesso tempo però voglio ricordare anche tutto ciò che di positivo il Medioevo ci ha lasciato e non posso esimermi dal citare l’iniziativa di tre giovani imprenditori a San Floro (CZ), rientrati in Calabria per dar vita a “Nido di Seta”, una cooperativa che produce tessuti di seta partendo dalla bachicoltura fino al lavoro svolto a telaio, proprio come nel Medioevo, recuperando la più importante tradizione produttiva della Calabria. Alla luce di questa esperienza, credo che arricchendosi di esempi positivi si possa anche (e finalmente) cambiare rotta!
Gli incursori musulmani in Calabria… come possiamo inquadrarli nell’ottica più ampia del dar al-islam?
Semplicemente come dei rappresentanti di un potere in espansione, loro come altri, penso ai Longobardi o ai Carolingi. Occorre riflettere sul fatto che la stessa “cristianità” aveva delle frammentazioni, così come la dar al-Islām non era una realtà compatta con l’unico obiettivo di attaccare l’Occidente. L’obiettivo semmai era la conquista del Mediterraneo occidentale in quanto fonte di ricchezza. Le scelte politiche delle potenze musulmane non mi sembrano assolutamente differenti rispetto a quelle occidentali, e a confermarlo basi pensare alle Crociate, al saccheggio di Costantinopoli per mano cristiana. Se non addirittura l’unico, l’interesse più importante era quello economico che caratterizza – banalmente – sia il mondo occidentale sia la dar al-Islām.
Ti ringraziamo per essere stata con noi e speriamo di leggerti ancora sul nostro blog!
Grazie a voi per questa piacevolissima chiacchierata!
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