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L'AQUILA BICIPITE, un articolo di Alfredo Betocchi

Sin dai tempi più antichi l'Aquila , ha simboleggiato la forza, il coraggio e il dominio di un popolo o di un condottiero.

È stata quasi sempre rappresentata ad ali spiegate, per indicare l'aspirazione alla libertà e al raggiungimento dei più alti obiettivi di un popolo.

Tra le molte raffigurazioni che la riguardano, una delle più significative è l'Aquila

Bicipite o Bicefala, modificazione dell'aquila romana a cui è stata data, nel corso del

tempo, più di una interpretazione.

Quando l'Impero Romano d'Occidente crollò a causa della debolezza causata dalle

guerre civili e dalla spinta disgregatrice dei popoli barbari, l'aquila delle legioni rimase

invitta solo a oriente. Gli imperatori di Costantinopoli la esibivano come simbolo di

potenza e di regalità. Essa rimase come emblema militare, insieme al

“Vexillum rubro”, della dinastia dei Paleologos: una croce accantonata da quattro lettere B

(che in greco si leggono V) il cui significato attribuito, secondo quanto riferito nelle

schede del nostro compianto Presidente Aldo Ziggioto, è la frase: “Re dei Re, Regnante sui

Re” che in greco suona “Vasilèvs Vasilèon, Vasilèvon Vasilèvousi” scritti appunto con la

lettera Beta.




Continuando una tradizione che risale alle prime conquiste di Roma in Italia, Bisanzio

preferì, a una politica di annessione, quella di alleanze, di un foedus con i popoli barbari

confinanti. Questa politica dei “regni clienti” garantiva efficacia ed economia, permettendo

al governo d'intervenire efficacemente là dove i pericoli esterni si facevano più pressanti.

L'Imperatore permise quindi alle comunità barbariche federate che circondavano Bisanzio

di utilizzare i simboli propri dell'impero e, tra questi, l'aquila. Bulgari, Serbi e

Albanesi poterono così ereditare l'animale reale per eccellenza. Col passare del tempo,

l'aquila fu conosciuta in oriente dai Russi, tramite i mercenari vichinghi del regno di Kiev

che avevano servito come guardia personale degli Imperatori di Bisanzio e in Europa dove fu usata dagli Austriaci e dalla Spagna.

Durante gli ultimi anni dell'Impero Bizantino, i suoi reali rappresentanti adottarono

l'aquila bicipite come emblema di quella dinastia e questa fu replicata da tutti i notabili

delle province, dai parenti e dai popoli barbari federati, dagli adulatori per affinità o

amicizia verso il sovrano e da tutti coloro che agivano in tutto o in parte nello Stato o che si espandevano in esso. Tutti quelli che gravitavano con manie di grandezza nella Corte, essendo stranieri, s'impossessarono di quell'emblema inserendolo inciso o dipinto sulle loro monete, sugli scudi, sugli stemmi familiari, sulle medaglie, sulle bandiere, sui palazzi e sulle navi.

Quando Bisanzio cadde sotto i colpi dei Turchi narra la leggenda che l'ultimo imperatore

Costantino XI, della dinastia dei Paleologos, scomparisse misteriosamente il giorno stesso della caduta della città. Secondo alcune leggende, l’aquila sparita con lui,  sarebbe risorta con il sovrano al suono delle trombe dei Diadochi, i successori e vendicatori del Paleologos, fino a che egli non siederà nuovamente sul trono di Costantinopoli liberata.

Questo racconto  fu narrato dalle madri ai figli e da questi ai nipoti in ogni famiglia greca

durante tutti i 368 anni della dominazione turca e servì a tenere accesa nel popolo la

speranza del riscatto e dell’indipendenza nazionale.



Quando infine, nel 1821, dopo vari tentativi falliti, la Grecia si ribellò ai sultani

Ottomani, la prima cosa che la gente chiese al conte Giovanni Capodistria, viceministro

degli esteri russo, ma cittadino veneziano, chiamato nel 1828 a ricoprire la carica di

“Kivernitis” (ossia di Governatore della Grecia liberata) fu proprio quella di restaurare

l'Aquila bicipite bizantina.

Motivi di ordine diplomatico impedirono tuttavia a Capodistria di accogliere la richiesta

che avrebbe irritato francesi e inglesi ma soprattutto i russi che temevano di vedere

risorgere nell'Europa meridionale un nuovo forte Stato a vocazione imperiale. Queste

potenze, pur alleate della piccola Grecia, la volevano debole e a loro sottomessa.

Capodistria adottò perciò prudentemente al posto dell'aquila, la Fenice che risorge dalle

sue ceneri (Fig. 7, qui in un vessillo dell'epoca del re Ottone I, 1832-1862), promettendo

tuttavia al popolo deluso di raffigurarla con due teste quando, in un secondo tempo, lo

Stato Greco si fosse fortificato.

La Chiesa greca, diventata autocefala, adottò invece subito la bandiera dorata con

l'aquila bicipite nera su fondo oro.

“I Megali Idea”, la Grande Idea della restaurazione dell'Impero Bizantino non ha mai

abbandonato neppure per un attimo i sentimenti del popolo greco, neppure adesso che

Grecia e Turchia fanno parte entrambe dell'Alleanza Atlantica. Ogni greco nasconde

questa speranza nel suo cuore e sa che, dopo Atene, la capitale agognata rimane

Costantinopoli, “I Polis”, la Città per eccellenza, al pari di Roma chiamata dai romani

“Urbs”.

Secondo un aneddoto fu ribattezzata Istanbul dai turchi, per una coincidenza curiosa. Quando udirono nel 1921 gli ufficiali greci spronare i propri soldati a conquistare I Polis al grido di: “Is tin polis”. I turchi pensarono perciò che il nome della città fosse Istanbul, storpiando la frase greca. Il nome le venne definitivamente cambiato attorno al 1930.

Ma quando è stata creata l'immagine dell'Aquila bicipite?

Nel 1909 si tenne al Cairo una Congresso internazionale su questo argomento. Vi

parteciparono studiosi e archeologi di molte nazioni. Per la Grecia parlò l'archeologo

Spiros Lambros che tenne la sua conferenza in francese della quale purtroppo non esiste che una versione in lingua greca.

Lo studioso riferì che in nessuna cronaca medievale né in alcuna delle fonti scritte dei

regolamenti della corte bizantina, né in nessun altro documento antico si faceva

riferimento a un'aquila con due teste. Unica eccezione, uno scritto dell'imperatore

Costantino Porfirogenito (911-919) relativo ai ricami di un'aquila bicefala sugli abiti e

riferito solo a parole etniche “straniere”, ossia a un simbolo che fosse riprodotto solo nelle corti dei barbari. In questo regolamento non si faceva nessun cenno all'esistenza di aquile siffatte nella sua corte.

Lambros aveva controllato tutte le fonti fino al 13° secolo non trovando nessun accenno

ad aquile con due teste. Molti cronisti si riferivano ad aquile parlando di vari despoti o

imperatori ma mai descrivendo come fossero disegnate.

Si cita Michele Paleologos, imperatore di Nicea (1261-1282) che calzava sandali con

aquile ricamate. Cronisti che riferirono fatti di guerra, facevano cenno ad aquile

“imperiali” senza alcun altro particolare.

Le aquile venivano raffigurate su abiti, su calzari, sulle pedane dove l'imperatore saliva

per farsi vedere dalla folla (Fig. 9 come l'immagine di Teodoro II Lascaris, Imperatore di

Nicea dal 1254 al 1258), sulle vele e sulle prue delle navi.

Nel XV secolo vi è un solo cronista bizantino, imparziale e contemporaneo ai fatti, che

parlò di un'aquila a due teste.

Si tratta di Gheorghios Franzis che riferì di averla vista a Venezia in occasione dello

sbarco dell'Imperatore Giovanni VIII Paleologos (1425-1448) in viaggio per Firenze, in

occasione del Concilio del 1439 che sancì l'effimera unione fra la chiesa ortodossa e quella

di Roma. Sulla vela della nave ammiraglia erano riccamente ricamati due leoni d'oro e, in

mezzo a questi, un'aquila a due teste.

Sul dipinto nella Cappella dei Magi in Palazzo Medici a Firenze, che riporta un'allegoria

dello stesso avvenimento, non vi è nessuna aquila cucita sul vestito, né sulla bardatura del cavallo dell'Imperatore.




Una bella immagine di un'aquila è riportata su una formella della porta della Basilica

vecchia di San Pietro a Roma, scolpita da Antonio di Pietro Averlino, detto il Filarete.

Vi è raffigurato lo stesso Imperatore che parte da Costantinopoli per raggiungere l'Italia.

Sulla vela della nave imperiale è ricamata un'aquila a due teste come simbolo della potestà imperiale. I cronisti riferirono che Giovanni VIII, mentre viaggiava verso

Firenze, fosse stato preceduto da bellissimi cavalli bianchi senza sella “con aquile dorate

sulle bardature”.

È cosa curiosa il fatto che molti cronisti bizantini riferiscano che le aquile siano

raffigurate di colore rosso e dorato ma mai in nero, a differenza di quanto viene creduto

dai più. Le aquile rosse furono dipinte sulle piastrelle delle piscine, disegnate sulle

bardature dei cavalli e sulle tende militari da bulgari, serbi o con altri colori come gli

armeni.

Un'altra testimonianza del XV secolo riguarda la morte di Costantino XI Paleologos

quando l'esangue corpo del sovrano fu riconosciuto perché “sui gambali e sulle calzature

erano ricamate aquile dorate come si confaceva a un imperatore”.

Qual è quindi il segreto della nascita dell'aquila a due teste?

Il segreto è la prospettiva!

L'aquila riprodotta su una superficie tondeggiante mostra da un lato la testa e dall'altro

solo un mezzo uccello, brutto e inintelligibile senza capo.

Gli artisti bizantini si resero presto conto di come questo fatto fosse

antiestetico e, alla fine, offensivo per il monarca stesso. Provvidero perciò ad aggiungere

una seconda testa dietro la curva del manufatto in modo tale che la folla potesse ammirare

lo stemma imperiale da entrambi i lati.

Ecco perché i cronisti non sentirono mai l'esigenza di riferire di “un'aquila bicipite” ma

solamente di “un'aquila imperiale”. La necessità prospettica degli artisti bizantini creò in

tal modo un nuovo originale e fortunatissimo simbolo che, in breve, ebbe un successo

mondiale, sia nel tempo che nello spazio.

Nell'antichità erano già avvenuti simili sdoppiamenti di corpi di animali favolosi con

l'intento di celebrare una città o un avvenimento.

Nell'obolo doppio (Fig. 14), sorta di moneta spicciola del V secolo a.C., è rappresentata

una civetta con due corpi ma con una sola testa, apparentemente senza ragione. La civetta

era l'animale sacro a Pallade Atena, protettrice di Atene.

I numismatici hanno presunto quindi che, non potendo esistere due città di Atene, lo

sdoppiamento del corpo fosse forse legato al valore della moneta.

Fu trovata anche un'altra spiegazione, più politica, dell'origine di questa umile monetina:

dopo la battaglia di Salamina, nel settembre del 480 a.C., tra le flotte congiunte di Atene e Salamina contro i Persiani, Temistocle volle dedicare alla dea Pallade un doppio simbolo che celebrasse in modo paritetico la vittoria delle due città. La civetta sacra fu perciò raffigurata con due corpi ma una testa sola.

Un ultimo esempio riguarda il fatto di come i Micenei risolvevano i problemi prospettici

dei fregi sugli angoli dei palazzi. I loro architetti scolpivano semplicemente un doppio

corpo con una testa sola che fosse ben visibile in alto sopra entrambi gli angoli dell'edificio .

L'aquila delle legioni romane ha fatto un lungo cammino, tortuoso e tormentato,

acquistando per strada un'altra testa e nessun altro simbolo ha mai fatto altrettanto.

La caduta di Bisanzio provocò uno shock mondiale negli Stati europei ma soprattutto

nella popolazione greca. Durante i 368 anni di dominazione, il sentimento di rivalsa e di

rinascita fu tenuto alto dal clero ortodosso, unico rappresentante legale della popolazione

di lingua e cultura greca nell'Impero Ottomano. I “papàs”, i preti ortodossi, invitavano

ogni giorno i fedeli a resistere e a credere nella liberazione, tenendo sempre acceso nel

cuore la fede in Dio e l'odio per gli oppressori. Anche se i simboli del defunto regime

bizantino rimanevano proibiti, le famiglie si tramandavano la conoscenza della croce e

dell'aquila bicefala.

Quando alla fine del XVIII secolo iniziarono seri sommovimenti antiturchi, queste

immagini riapparvero cuciti sulle bandiere dei rivoluzionari. La croce, l'aquila e la fenice,

simbolo di rinascita, dettero impulso alla sanguinosa rivolta del 1821.

Durante tutte le guerre contro gli Ottomani del XIX e del XX secolo, questi simboli

furono issati sulle bandiere militari della Grecia. Lo stendardo con l'aquila bicipite e la

croce venne issato nella I Guerra Mondiale in Macedonia. La scritta recita

“Difendete la Patria”. Segue un labaro dello stesso periodo.

Nacque così “I Megali Idea”, il sogno di poter restaurare l'Impero Bizantino,

ricacciando in Asia i turchi invasori. I secoli trascorsi non avevano più

importanza, la certezza in questo futuro era nel cuore e nella mente di ogni greco.

Le vicende belliche del 1920-22 frustrarono però il sogno della riconquista di

Costantinopoli.

L'aquila bicipite rimane comunque a tutt'oggi nell'immaginario collettivo.

Un esempio ne è lo stemma della squadra di calcio di una città greca che non è ancora

compresa nei confini nazionali: l'A.E.K. L'acronimo del nome della squadra significa:

Athletiki Enosis Kostantinupoleos cioè Unione Atletica di Costantinopoli.

È un'aquila bicipite nera su fondo oro.




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