Segue la seconda parte di una lunghissima intervista al nostro socio Nicola Messina e al suo ultimo lavoro "Pastorale Gotica", a cura di Fabio Nappi.
-Il saggio serve per inquadrare, dal punto di vista storico, la finzione narrativa?
Infatti. È anche un lavoro divulgativo, in tutta umiltà: non sono un accademico e non vanto titoli questo voglio sottolinearlo. Il saggio si prefigge, senza pretese di completezza, d’introdurre il lettore a un periodo storico che ritengo avvincente. Le opinioni e teorie incontrate mi hanno spinto a scegliere alcuni autori, antichi e moderni, e una linea espositiva essenziale. Lo scopo è quello di fornire una versione dei fatti breve, lineare e credibile. E’ facile cadere nella confusione e nell’approssimazione seguendo troppi pareri e studiosi che, spesso, si contraddicono. Ho preso in considerazione alcuni storici del passato come Ammiano Marcellino, Zosimo, Sinesio, Iordanes. Invece tra i contemporanei ho ritenuto opportuno leggere opere recenti di Alessandro Barbero, Herwig Wolfram, Peter Heather. La lista sarebbe anche più lunga.
-La copertina ha un ruolo importante?
Ovviamente. Quasi tutto nella mia opera ha un suo perché. La copertina è una mia foto scattata nella Basilica di Aquileia. Ottenuta stendendomi a terra alla ricerca dell’inquadratura ispirata, contrastante. Essa rappresenta la metafora dei rapporti tra Romani e Goti: due archi, uno gotico e l’altro romanico, che sembrano incrociarsi come due spade e, al contempo, come delle spalle che reggono una struttura affinché non crolli. Due culture contrapposte che hanno cercato un modo per coabitare, pur con tante difficoltà. Questa, infatti, è la filosofia che mi ha spinto a scrivere il libro riversatasi nel chiaro-scuro presente nella parte alta della foto.
La religione cristiana ha anche un suo posto nella narrazione, sia come fenomeno spirituale che sociale. Non la escludo né da meriti o responsabilità, come tutto ciò che è umano. La vicenda del vescovo Wulfila è l’esempio che più mi ha convinto: il suo alfabeto ha influenzato la storia europea e il Signore degli Anelli di Tolkien attraverso la grammatica gotica del prof. Joseph Wright: compilata grazie al lavoro del Vescovo e dei successivi amanuensi. E’ un esempio positivo di incontro tra culture differenti che condizionano altre epoche, esso può servire a comprendere cosa può nascere da una migrazione, anche ai giorni nostri. Forse è esagerato? Leggetelo. Anche per questi motivi mi è sembrato giusto fare quella foto in una Basilica: l’unica che ho trovato con quei due tipi d’arco uno accanto all’altro. Lo stesso titolo è una sorta di ossimoro tra elegiaco e oscuro, un altro modo per definire quel periodo controverso, anche dal punto di vista letterario. Non è un’epoca solo di decadenza, ma di trasformazione che durerà a lungo. L’Impero romano non è caduto, penso che si sia modificato: come naturale che fosse vista la sua vastità e difficoltà a governare. Però non entro troppo nel merito in quanto sono a conoscenza di varie scuole di pensiero sull’argomento, e non tutte vanno d’amore e d’accordo sulle ipotesi.
-Cosa rappresenta per te la figura di Alarico, hai trovato qualche risposta anche per l’attualità?
Alarico è una delle tante figure ambigue della Storia, che ha avuto un’esistenza controversa in un mondo altrettanto controverso. Io, narrativamente parlando, lo dipingo come un uomo, e un popolo, alla ricerca di una sistemazione all’interno dell’Impero. Per sistemazione si possono intendere sia terre, che cariche, ecc. I rapporti con lo stesso Stilicone risultano essere non troppo chiari, varie battaglie e mai una sconfitta definitiva. Ci furono accordi? Qualcuno cercava un compromesso? Fu solo fortuna? Un disastro politico? Ci sono tante domande e altrettante risposte da trovare sui libri. Le diverse opinioni, passate e presenti, ampliano solo l’area delle questioni.
Alarico lo potrei definire anche un “beautiful looser”, un uomo governato dalle pulsioni interne e che non vuole arrendersi, ma che riesce a sopravvivere a mezze sconfitte e mezzi compromessi. Il tutto condito da ricatti, intrighi, nefandezze del potere e previsioni errate.
Sino a che la politica di Teodosio ha funzionato, ovvero un’accoglienza con finalità di utilizzo generale dei popoli migranti, l’Impero ha retto. Una volta morto l’Imperatore, con i due nuovi eletti tutto è degenerato per via della loro chiusura o incapacità ad arginare e manovrare il/i barbaro/i come aveva fatto loro padre. Da lì in poi (campagna militare 395-397 d.C. circa), a mio modo di vedere, in Alarico è sorta la consapevolezza di poter diventare l’ago della bilancia in un Impero diviso invadendo, ricattando e accordandosi prima a Oriente e poi a Occidente. Infatti, tra le prime richieste inviate a Onorio, per non saccheggiare l’Urbe, fu proprio la concessione di un territorio a cavallo dei due Imperi, così da tenerli in scacco entrambi o essere la mano armata di uno dei due, a voi la scelta.
Il massacro di Ticinum e l’assassinio di Stilicone, che io ho messo in poesia come una sorta di omaggio a Claudiano il cantore del Generale, furono i classici vasi di Pandora che fecero deflagrare tutte le contraddizioni sino ad allora accumulate con Alarico e i suoi, esse portarono al Sacco di Roma. Penso che, da quel momento in poi, l’Impero e la romanità cominciarono a non essere più solo un punto d’arrivo, ma di partenza su gambe straniere in giro per il continente.
Odoacre alla fine consegnò solo delle insegne all’imperatore di Costantinopoli che lo nominò suo Magister Militum e Rex Italiae. Quindi il 476 non è la data di una fine, ma solo di una certificazione del cambiamento, a mio modesto parere. Poi avvallata ulteriormente con la concessione dell’Italia a Teodorico e l’assassinio di Odoacre. Quest’epoca terminò con la guerra gotica, che indebolì il tentativo di Giustiniano di riunire l’Impero, e l’arrivo dei Longobardi e l’inizio di una nuova storia per l’Italia. Probabilmente, con il Sacco di Roma Alarico diede il via a tutto ciò, quindi potrebbe essere considerato il seme che ha avviato la creazione dei futuri regni romano-barbarici, per alcuni studiosi, l’origine dei moderni stati europei. Altro non mi spingo a dire in quanto l’argomento è molto controverso e fonte di acceso dibattito e non essendo un accademico non ho titolo per affermarlo come principio, è solo il pensiero di uno scrittore di racconti e come tale deve essere preso. Invito, chiunque legga la presente intervista, ad approfondirlo e farsi una sua opinione.
-Perché dedichi il libro a due persone sconosciute o quasi: un archeologo e un ambientalista entrambi deceduti in modo cruento?
Anche questa scelta è una sorta di metafora, se combinata assieme, come i due archi della copertina. Viviamo in un periodo in cui la verità storica e il rispetto ambientale vengono profanati costantemente dai fanatici dell’odio e delle multinazionali. Mi è sembrato giusto darne rilievo proponendo una sorta di ricordo di queste due figure per me emblematiche dei tempi che viviamo.
L’archeologo siriano Khaled Al-Assad assassinato dall’ISIS nella sua Palmira. Lui è un martire della verità storica, che deve essere ricercata, studiata, difesa e custodita. Il suo sacrificio è da tenere in considerazione per far fronte all’oscurantismo che avanza anche a Occidente con certi fenomeni sociali che si ritengono superiori moralmente, e non solo loro.
Blasio Bolash, invece, è un essere umano marginale nella storia di questo mondo. Per questo voglio soffermarmi a parlarne.
Ho avuto la fortuna d’incontrarlo nella mia ricerca on-line e di leggere della sua vita. La sua esperienza mi ha stimolato. Per lui ho voluto raccontare anche di persone comuni e animali.
Blasio è stato un ambientalista solitario che ha attraversato l’Europa dall’Ungheria alla Francia. Dal compimento dei 18 anni, sino alla morte a 32, ha camminato assieme alla sua coerenza. Le poche immagini che ci ha lasciato rendono bene l’idea dello stile di vita lento con cui quotidianamente aveva a che fare. Con il suo carro, trascinato da due buoi, accompagnato da una piccola mandria e dal cane, è passato anche per l’Italia. Nel suo lento avanzare ha incontrato persone e ha fatto conoscere un modo di vivere.
Nella sua vicenda si può scorgere una sorta di parallelismo con la storia dei Goti. Come questo popolo, Blasio ha viaggiato per affermare la propria esistenza e alla fine è scomparso, dimenticato. I Goti sono stati sconfitti in varie guerre e successivamente inglobati tra le popolazioni autoctone, per poi scomparire. Il magiaro, invece, è stato sorpreso all’alba da un’automobile. Investito dal simbolo di tutto ciò che detestava, la velocità, e che alla fine lo ha sopraffatto assieme alla sua idea di mobilità sostenibile dal sapore arcaico. La sua impresa ha avuto ben poco risalto sulla stampa, troppo occupata a seguire convegni discutibili e disponibili a compromessi. Il suo insegnamento è semplice: la salvezza del pianeta è legata alla nostra volontà e non a leggi o finanziamenti a fondo perduto.
-Toglimi un dubbio. Per un periodo ricordo che ti eri messo a promuovere musica e adesso porti avanti un progetto storico, ci trovi qualcosa in comune?
Questa è una domanda che mi hanno posto altri prima. Tutta la musica ha origini popolari. E’ una forma d’arte comune in ogni parte di questo pianeta e diversificata in base ai luoghi dove essa viene composta, agli strumenti, ai temi, ecc. Ogni popolo è parte della/di una Storia e di conseguenza anche la musica che esso crea. La musica folk americana, come quella Europea, Africana, ecc., è anche Storia e storie. Basti pensare, in ambito anglosassone alle ballate di Robin Hood, che hanno influenzato tutto un filone dedicato ai fuorilegge, o ha brani come Barbara Allen che ci proviene dal XVI secolo circa e, probabilmente, il testo è più antico, per non parlare di ballate dedicate a battaglie o eventi storici, poi confluite nella musica folk americana.
Per quanto riguarda la musica che ascolto, una parte penso abbia avuto origine nell’epoca delle invasioni Sassoni e Vichinghe dell’Inghilterra: gli invasori portavano con se, o creavano in loco, strumenti e versi. Ogni compositore, menestrello, scaldo (il cantore tra i Vichinghi) o interprete ha narrato di vita comune così come di eventi significativi: indipendentemente se fossero al soldo di qualche sovrano, oppure degli indipendenti. Quindi, anche grazie alle ballate e alle saghe conosciamo usi e costumi del passato e possiamo ricostruire un quadro storico abbastanza attendibile per supportare il dato archeologico e altro.
Quindi, ho promosso musica popolare americana perché mi piace e perché in essa vi è una sorta di comunanza con la Storia. Il tema dell’eroe, ad esempio, era comune nei tempi andati come lo è adesso. Una volta lo si identificava con un eroe-guerriero, cantato dagli scaldi, adesso con gente che lotta per sopravvivere, banditi, lavoratori, chi lotta contro le diseguaglianze. Dave Alvin, uno degli autori moderni che preferisco, è un musicista che ha attinto a piene mani dal pozzo della musica folk del suo paese, e indirettamente dall’Inghilterra. Woody Guthrie, una leggenda, ha interpretato brani dell’Ottocento oltre che a scriverne per la sua epoca intrisa di lotte sociali. Bob Dylan stesso ha scritto di valorosi che lottano per i diritti dei neri o contro la guerra, ha cantato di avvenimenti. Un’altra faccenda poi è l’evoluzione degli strumenti musicali, dei ritmi, dei temi, ecc., questi hanno strade diverse che talvolta s’incrociano con altre provenienti dai posti più disparati, ad esempio il banjo è uno strumento dalle origini diversificate: anglofone, afroamericane e perfino indiane. Storia e musica vanno assieme.
-Concludiamo questa intervista con alcune considerazioni. Il libro, da quanto ho potuto capire, non è solo uno scritto storico, ma trascende e si spinge oltre i limiti della narrativa storica classica. Forse vuoi lanciare un messaggio o avviare una qualche discussione?
Come ho avuto modo di dire, il libro è frutto di una ricerca e stesura durati diversi anni. Potrei definirlo come la sintesi di tutti i miei interessi culturali, diretti e indiretti con la Storia, e delle mie esperienze personali riunitisi sotto forma di racconti. È autoprodotto e di conseguenza anche finanziato in modo autonomo. Non vi è un messaggio particolare o il desiderio di avviare polemiche. Lo considero una lunga e articolata riflessione sull’integrazione, o almeno sul suo fallimento, che ha come fulcro le gesta del condottiero germanico Alarico, nel suo tentativo di essere riconosciuto dallo Stato romano. Una storia di migrazione che induce a considerazioni sulle cause e gli effetti, proprio come oggi.
Le idee espresse sono strettamente personali, alcune delle quali dibattute con esperti o appassionati del settore storico, e non intendono sovvertire le teorie vigenti, che sono sempre in discussione. La sua lettura non porterà a cambiamenti d’opinione, ma sicuramente contribuirà a rendere più o meno lieta qualche ora libera da impegni più importanti. Non è l’opera di un accademico, ma di un appassionato di Storia e rivolta a tutti. All’interno si potranno trovare molte informazioni e idee, qualcuno storcerà il naso o criticherà aspramente, che ben venga nei limiti della tolleranza dialettica. Acquistarlo significa dare la possibilità a una stampa e a uno scrittore realmente indipendenti di esprimersi, poi il risultato finale è rimandato al giudizio dell’acquirente. Consiglio di leggerlo con lentezza. Quindi grazie a coloro che leggeranno questo lavoro e sapranno comunicarmi pacatamente una loro opinione.
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