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Intervista a Nicola Messina su Pastorale Gotica (prima parte)

Segue la prima parte di una lunghissima intervista al nostro socio Nicola Messina e al suo ultimo lavoro "Pastorale Gotica", a cura di Fabio Nappi.



-Prima di presentare il libro, parliamo di te: dove sei nato e gli interessi, ecc.:


Sono nato a Cles, provincia di Trento, il 7 marzo 1970. Dal 1985 al 1992 ho abitato a Palermo, dove ho concluso gli studi superiori, avviati in Trentino, nel 1989. Dal 1993 vivo in Trentino. La mia biografia letteraria non è ampia ed è relegata negli anni ’90, dove scrivevo per fanzine e riviste amatoriali. Purtroppo, in un infausto trasloco, ho perduto alcuni degli scritti pubblicati e le bozze. Amo molto Steinbeck, Cormac Mccarthy, James Ellroy e Ambrose Bierce. Nel campo della letteratura di genere invece, Lovecraft, Tolkien e R.E. Howard, poi vengono Philip Dick e Asimov. Questi sono solo alcuni dei miei autori preferiti. Il cinema è un altro settore che mi prende molto, soprattutto con Carpenter, Kubrick, Mario Monicelli, Tarantino, Rosi e altri registi italiani e stranieri. La musica folk, blues e country americana fanno parte della mia vita sin da piccolo: Bob Dylan, Willie Nelson, Johnny Lee Hooker ed Elvis Presley, Bruce Springsteen tra i tanti che ascolto. Assieme a loro anche i cantautori italiani come De Gregori e Massimo Bubola. In ultimo, colleziono e studio alcuni tipi di monete antiche: ho creato un mio piccolo catalogo sulla monetazione da Diocleziano a Costantino. Questo, in breve, alcuni dei miei interessi.


-Passioni che sicuramente hanno contribuito a formarti nel carattere.


Debbo molto a quanto ho ascoltato, letto e visto in questi anni. Sono mattoncini, diversi, che incastrandosi tra loro, anno dopo anno, mi hanno formato. Poi il resto lo fa la forza di volontà nel perseguire i propri interessi culturali.


-Quindi possiamo parlare di un approccio alla scrittura fatto in un’ottica non professionale?


L’arte dello scrivere non è semplice. Soprattutto quando bisogna lavorare con una vecchia macchina da scrivere, e dopo ore di lavoro per sopravvivere. Negli anni ’90 non c’era la tecnologia che oggi, invece, rende l’opera più agevole nella scrittura. Purtroppo, dopo un po’ ho lasciato perdere, mi stavo alienando dalla società, faticavo con il lavoro e non avevo ottenuto i risultati sperati. Ho dovuto prendere una decisione e, quindi, ho sospeso l’attività, per altre esperienze.


-Hai portato avanti altri progetti?


In Trentino ho avviato iniziative culturali legate soprattutto al campo musicale. Ho fondato un’associazione musicale, la Woody Music, per promuovere i generi musicali che ho menzionato agli inizia dell’intervista. Ho portato diversi artisti statunitensi nei pub e nei teatri locali sino al 2011, quando la crisi economica ha ridotto l’attività on the road di alcune agenzie musicali. Ho realizzato delle rassegne cinematografiche di genere fantastico: su Mario Bava, la distopia, ecc. Recentemente mi sono iscritto all’Associazione Byzantion di Milano. Ho contribuito con un paio di articoli pubblicati sul loro sito e, come scrittore e curatore, all’antologia di racconti promossa dall’associazione stessa: Racconti da Bisanzio. L’associazione promuove la storia dell’Impero Bizantino e Romano come veicolo di cultura e di approfondimento storico. Sono molto curioso e disposto a scoprire cose nuove.


-Quindi il ritorno di fiamma della passione letteraria lo si può datare dal 2012.


Non proprio. Dal 2008, all’incirca, ho iniziato a ri-studiare storia romana, con un interesse graduale verso il IV secolo e sui Visigoti, concretizzatosi attorno al 2014-2015. Sin da piccolo ho ammirato Alarico, così come Arminio: due personaggi che avevo già trattato negli anni Novanta. Durante questi studi e ricerche sono incappato nell’ispirazione che ha dato il via al percorso che condurrà a Pastorale gotica.


-Cosa è accaduto?


Ho notato la presenza di articoli, su diverse testate giornalistiche digitali, cartacee e social nelle loro varie piattaforme, che paragonavano la crisi migratoria del 2015 a quella che colpì l’Impero romano. Ovviamente nessuno di quegli articoli era supportato da un’attenta analisi storica, solo da profonde venature d’intolleranza. Questo mi ha indignato, sia come uomo che come appassionato di storia. Era incredibile che i lettori potessero essere così sprovveduti da credere a teorie infondate e paragoni stiracchiati o eccessivi. Le due epoche non si assomigliano, anche se qualcosa potrebbe essere somigliante se letto con un’ottica faziosa. Ho steso un primo saggio che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto distinguere le due epoche. L’operazione si è rilevata troppo complessa. Quindi ho modificato il progetto in una sorta di resoconto sui rapporti tra Romani e Goti. Sennonché di saggi simili ne son pieni gli scaffali, gli acari mi avrebbero ringraziato, e poi non sono un accademico. Perciò ho deciso per un’antologia con annesso resoconto. In quest’ultimo caso, ho pensato che dei racconti potessero interessare più di uno scritto di saggistica. Però non ho voluto rinunciare alla prima idea e ho unito le due in un’unica opera, riducendo del cinquanta per cento il saggio. Alcuni racconti li ho scritti ex-novo, altri li ho riadattati dai sopravvissuti degli anni Novanta. Come per il mio primo libro: Nemesi rossa. Tutto qui.


-Quindi Pastorale gotica è il tuo secondo lavoro?


Sì, prima è venuta Nemesi Rossa: un libricino dedicato alla morte del condottiero germanico Arminio. Scritto come prima stesura nel 1998 e pubblicato da una rivista amatoriale di Reggio Emilia, Yorich. Anche questo è suddiviso in un racconto lungo, un saggio e note storiche. Una riflessione sul senso di appartenenza e sul destino dei ribelli. Purtroppo, la considero un’esperienza andata male. Il libro è uscito poco prima del primo lock-down. La promozione e diffusione, è stata rovinata da quest’evento. Ora è fuori catalogo, lo sto riscrivendo ampliandolo anche grazie ai consigli di chi lo ha potuto apprezzare nella sua piccola veste e breve esistenza.


-Un lavoro che deve averti preso un sacco di tempo in ricerca, stesura e correzione.


Certo, Pastorale gotica non è stata una scrittura semplice. Tormentata e sudata, questo sì. Ore di lettura e ricerca, le correzioni, ecc. Ho acquistato la maggior parte dei libri, ho chiesto diversi consigli; mi sono confrontato e ho lavorato non poco per raggiungere la quadra delle idee che mi ero posto di rappresentare nell’opera. Sbagli, marce indietro, scrittura e riscrittura. Quello che capita quando uno si auto-produce, non hai editor (che sono molto cari), non hai casa editrice (talvolta poco oneste, altre disinteressate). Così mi sono rimboccato maniche e neuroni, ho riempito la brocca del caffè e ho pedalato, perché questa è la bicicletta che ho scelto: la stessa di altri intraprendenti come me. Però non ho lasciato il libro al caso, ho provveduto a farlo leggere per apportare eventuali correzioni e modifiche al testo. Di alcuni racconti ho almeno tre diverse versioni. Lo stesso saggio ne vanta almeno quattro, o anche più. Spero soltanto che il risultato sia all’altezza dell’impegno introdotto. Con le mie forze ho tentato di fare qualcosa di buono.


-Cosa è esattamente Pastorale gotica?


Il libro è una serie di racconti basati su fonti storiche, essenziali per dare solidità alla fantasia narrativa. Il successivo saggio, Breve resoconto, ripercorre in modo conciso la storia dei Visigoti sino al Sacco di Roma. Quest’ultimo serve più che altro a far conoscere, a grandi linee, l’epoca dei racconti, che, altrimenti, apparirebbero poco chiari nello svolgimento. Non è da prendere come uno scritto definitivo sull’argomento, solo un riassunto con fonti di quanto accaduto. Poi mi è sembrata una buona idea quella di usare due tipi di scrittura diversa: il racconto e il saggio.


-Oltre al fatto giornalistico che mi hai raccontato poc’anzi, cosa hai voluto raccontare?


L’epopea di un popolo e la vita di uno dei loro re da un punto di vista originale. Portare su carta protagonisti inconsueti, talvolta umili o marginali e, credo, non comuni in questo tipo di letteratura. Infatti, il primo racconto è breve e ha come protagonista un contadino. Poi si prosegue con altri due racconti di battaglie sino all’arrivo sul Danubio dei Goti e oltre, in modo altalenante sino alla trilogia dedicata al Sacco di Roma. Poche sono le descrizioni di guerra, non mi interessava fare della cappa e spada. Cerco di rendere la guerra un fenomeno umano spiacevole e non eroico, come nel secondo capitolo del racconto il Vento divino. Il Falco, invece, narra della Battaglia di Adrianopoli da un punto di vista inconsueto: un netto contrasto tra la natura umana e quella del resto degli abitanti di questo pianeta. Qui la guerra è un vero obbrobrio per l’animale. Lo scritto segue, a grandi linee, la migrazione storica dei Visigoti all’interno dell’Impero. A questo proposito nelle copie che vendo personalmente ho inserito una “Mappa dei racconti”, così da seguire il percorso narrativo e migratorio, fondendoli in un tutt’uno. In un racconto ci si trova ad Atene e in quello successivo da un’altra parte. Alcuni personaggi riappaiono qua e là come dei cippi che ricordano che si è sulla strada corretta. Anche a questo serve il saggio, per integrare e arricchire l’esperienza narrativa. Infine, spero che tutto ciò porti a un aumento della curiosità verso l’argomento. Nulla è scontato, bisogna scoprire cosa ci aspetta dietro l’angolo.


-I tuoi racconti, di cosa trattano? Quali luoghi, personaggi ed eventi hai preso in considerazione?


Sono storie variegate. Ad esempio: la Battaglia del Frigido o del processo alla moglie di Stilicone, ma anche di contadini, di schiavi, animali curiosi. Drammatiche fughe dallo sterminio, sogni infranti, battaglie con spettatori fuori dall’ordinario, re prigionieri dei propri incubi, improbabili radiocronache, ecc. La bramosia può fomentare intrighi, la rabbia azioni insensate. Le grandi ambizioni portano spesso a grandi fallimenti e gli eroi sono solo delle chimere. Anche le donne sono protagoniste, come ne “La riva”, “La locanda” e “Il processo”: giovani, irriducibili o battagliere sino alla fine. Poi c’è l’aspetto fantasioso, onirico che accompagna alcuni personaggi lungo un percorso creato dagli dèi o dalle proprie azioni. Introducendo l’elemento fantastico voglio creare un ambiente narrativo più ampio e leggero in una narrazione storica. Sono anche storie ispirate da miti popolari o da film, come per il racconto “La visita” che è un indiretto omaggio a “Una giornata particolare” di Scola, dipinti del’800, ecc. Ho scelto, inoltre, di inserire qua e là, in modo discreto, anche vicende personali, come in “Buona Pasqua” così da rendere tutt’uno la grande Storia e la vita comune. Ho voluto scrivere di quella umanità di cui non esiste alcuna nota a margine nei libri di storia, ma che spesso viene oppressa assieme alle proprie speranze e vite. In effetti, l’idea iniziale era quella di scrivere un romanzo tipo “Furore di Steinbeck”, uno dei miei preferiti: le vicende di una famiglia gota nel contesto della grande migrazione. Poi, invece, ho preferito personaggi ed eventi diversi. Quindi, non solo Storia, ma anche letteratura, o soprattutto quest’ultima. Dipende dai punti di vista.


-Quindi un lavoro non troppo storico.


No, la base è storica. Questo voglio sottolinearlo. La rispetto, anche se fa da contorno ai personaggi. Le tre giornate del Sacco di Roma, ad esempio, vengono narrate da tre punti di visti diversi, come nel film di Kurosawa “Rashomon”. Uno di questi, “Dal nostro inviato a Roma”, è volutamente antistorico: si tratta dell’assalto alle mura raccontato da un giornalista radiofonico a seguito delle truppe. Quindi un racconto surreale, che nulla a che fare con l’assedio, se non nell’evento nominale stesso, e ironizza (in piena filosofia Monty Python) sulle guerre recenti. Quei tre racconti, per me, sono personali metafore sulla soggettività storica. Così come ne “La libertà” dove lo schiavo osserva l’esterno da uno spioncino, oppure “Il falco” che assiste a una battaglia dall’alto: guardano la Storia da un punto di vista diverso.

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