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Greco e Albanese, alcune controversie linguistiche spiegate da Guido Borghi

Questo articolo nasce dal fatto che, nel nostro gruppo Facebook, abbiamo spesso assistito ad alcuni dibattiti, peraltro molto accessi, fra utenti greci ed albanesi, riguardo questioni di paternità linguistica. Portando avanti delle tesi assolutamente fantasiose, alcune persone hanno paventato l'esistenza di un fantomatico superimpero albanese, esteso dall'Atlantico al Mar Caspio, poi distrutto e "rubato" durante la migrazione dei Dori dai nuovi invasori, prima dell'avvento della Grecia Classica. A supporto di questa "tesi", veniva detto, per esempio, che i nomi delle divinità greche non hanno significato alcuno in greco, ma hanno significato in albanese. Ovviamente, è un'ipotesi così assurda che non ha bisogno di smentita, ma siamo stati fortunati ad aver ottenuto, per vie traverse, l'intervento del prof Borghi, glottologo e linguista dell'università di Genova, che ha risposto proprio a questa bislacca controversia linguistica e ci ha dato, con gioia, il permesso di pubblicare il suo intervento, che qui riportiamo: "La ragione per cui i nomi delle divinità greche non sono di solito comprensibili in greco è che risalgono all’indoeuropeo preistorico, da cui lo stesso greco deriva (come pure l’albanese), ma attraverso la perdita di molte parole – come è successo anche, per esempio, dal latino all’italiano – e quindi la trasformazione di nomi comprensibili in nomi opachi. Similmente, dall’illirico all’albanese sono avvenute molte trasformazioni e quindi, mentre da un lato è verissimo e innegabile che in greco moderno si possono trovare numerosi albanismi, dall’altro confrontare direttamente nomi greci antichi con parole albanesi moderne à un’idea semplicistica, che qualsiasi parlante può essere tentato di fare, ma che implica la completa ignoranza della storia dell’albanese; sarebbe come se un italofono senza conoscenza del latino tentasse di spiegare qualche nome greco (in forma italiana), per esempio – tanto per dire – Lacedemone (Sparta) come se fosse ‘là c’è (un) démone’. Non è quindi neppure il caso di criticare: è semplicemente un fatto di mancanza di cognizioni (nonché del sospetto stesso che gliene manchino), in pratica un caso di semianalfabetismo inconsapevole (chi non è nemmeno in grado di sospettare di essere ignorante non ha i presupposti per capire). Sarebbe come voler convincere un bambino che i cartoni animati non sono narrazioni reali; appunto per l’omologia coi bambini, non bisogna identificare queste pur diffuse convinzioni col Nazionalismo locale, che, benché ristretto a un numero assai minore di persone, è incomparabilmente più informato e raffinato.

Ad ogni modo, fornisco qui di séguito le precisazioni necessarie a ogni parola citata. In albanese, ‘voce’ si dice , dal protoalbanese (= illirico) džănā (da pronunciare come se in italiano fosse scritto giana), dall’indoeuropeo *g̑ʱu̯ĕnăhₐ, mentre il greco Zĕús continua l’indoeuropeo *Di̯ḗu̯s ‘cielo, giorno’ (da cui l’antico indiano dyáuḥ e il latino dĭēs ‘giorno’); hera (dal greco hṓrā ‘tempo’, attraverso il latino hōră) vuol dire ‘il tempo’, mentre ‘vento’ si dice erë (era ‘il vento’) ed è dal latino āēr ‘aria’ (Hḗrā è dall’indoeuropeo *Sēr-ăhₐ ‘quella della sorveglianza, protezione, conservazione’). Il greco Hāídǣs ‘Ade’ è dall’indoeuropeo *Sm̥-hₐu̯ĭd-ăhₐ-s ‘concento’ (cantare insieme) ed evidentemente non ha alcunché a che vedere con l’albanese atë ‘padre’, dal protoalbanese *ătă e dhe ‘terra’, dal protoalbanese *dzō (dall’indoeuropeo *dʱ̑g̑ʱōm) né con ha ‘mangio’, dal protoalbanese *ĕdă (dall’indoeuropeo *h₁ĕd-ŏ-m) e vdes (non des) ‘muoio’, dal protoalbanese *ău̯ă-tăkjă (dall’indoeuropeo *h₄ău̯ŏ-tŏkʷ-i̯ŏ-m).

La toponimia greca dimostra che almeno una sua porzione è stata coniata in fase indoeuropea preistorica e da allora ha attraversato tutte le trasformazioni fonologiche dall’indoeuropeo al greco e soltanto quelle, quindi che il greco è la trasformazione locale dell’indoeuropeo preistorico. È possibile che, in epoca protostorica, siano intervenute in Grecia tradizioni linguistiche anelleniche (= non greche), fra le quali eventualmente alcune dall’Illiria: qualche traccia se ne può trovare a Sparta. In nessun caso, però, si riesce a dimostrare che siano anteriori all’indoeuropeo da cui si è sviluppato il greco; le presenze illiriche nella Grecia antica (giacché di quella si parlava; per le età successive è tutt’altro conto) possono essere solo arrivate dopo gli Indoeuropei diventati Greci.

Sono invece altrettanto antiche dell’indoeuropeo di Grecia le tradizioni linguistiche paleobalcaniche nelle loro sedi storiche: il tracio in Tracia, il daco-misio in Dacia, Mesia, Dardania &c., l’illirico in Illiria. La prossimità del dacomisio al baltoslavo è provata da molti toponimi dacomisî, per esempio Brucla (che corrisponde al lettone Brukle e a bruklājs ‘mirtillo rosso’) Galtis (uguale al lituano Galtỹs e al russo gólot’ ’lastra di ghiaccio’, dal baltoslavo *găltĭs formato sulla radice √*gal-), Génŏu̯klă (come i toponimi lettoni Dzęnukļakalns, Dzęnukļis e il nome comune dzanukla ‘albero caduto, abbattuto’); ce ne sono parecchi altri, che per il fatto di essere di attestazione antica e identici al baltoslavo ricostruito (quindi protostorico) si possono spiegare solo ammettendo appunto che il dacomisio fosse sostanzialmente identico al baltoslavo.

Questa comunione linguistica baltoslavo-dacomisia era, come suggerisce la sua stessa denominazione, estesa fino alla Mesia, quindi anche ampiamente a Sud del Danubio, compresa l’attuale ‘Vecchia Serbia’ (la Serbia storica). È molto probabile che arrivasse in Pannonia, soprattutto nella sua sezione più meridionale e orientale; per l’estrema scarsità di fonti è difficile fare affermazioni sull’antica Dalmazia interna (l’attuale Bosnia), anche se bisogna riconoscere che non ci sono ostacoli contro l’ipotesi che anch’essa rientrasse nell’area dacomisia. Il resto della Pannonia era invece, come detto, più verosimilmente celtico; di sicuro lo era l’attuale Slovenia.

Sulle coste della Dalmazia si hanno, a Nord, nomi veneto-istro-liburnici (quindi relativamente affini al latino, senza – com’è ovvio – le peculiarità del latino di Roma); a Sud la lingua è diversa, indecidibile fra dacomisia e illirica. L’illirico antico è scarsamente documentato e difficile da distinguere dal dacomisio, cui dunque poteva essere assai simile; comunque di certo e con ogni evidenza diverso dal dacomisio è l’albanese, già nella fase protoalbanese, per cui le congruenze più antiche fra il dacio (in quanto sopravvissuto in relitti di sostrato in rumeno) e l’albanese sono da considerare comune eredità indoeuropea o al massimo solidarietà protostorica paleobalcanica, ma non di più. Potrei confortare queste affermazioni con esempi che ho raccolto in questi ultimi trentacinque anni, ma dopo ore e ore di scrittura (sto rispondendo da quindici ore alla posta elettronica) il computer sta impazzendo e non riesco a usare caratteri speciali (il capoverso che segue l’avevo scritto prima, qualche ora fa).

La questione del rapporto fra albanese/illirico e dauno-peucezio-messapico è purtroppo sospesa per insufficienza di prove. Il messapico è molto poco conosciuto; fra gli scarsissimi nomi comuni noti posso citare biliia ‘figlia’, deiva ‘dea’, taota ‘tribù’, vasti ‘città’, veina ‘legge’. In albanese, ‘figlia’ si dice bijë, che può continuare un antico *bīljā: questa può essere una delle più importanti isoglosse (= identità linguistiche) fra messapico e albanese. ‘Dea’ si dice perëndeshë (“quella del tramonto’), di etimologia molto controversa; nel migliore dei casi, se si tratta di parola ereditata dall’illirico (e non presa dal latino), continuerebbe *pĕrăntĭssā e quindi non avrebbe niente a che fare con deiva (che è invece la parola indoeuropea, *dĕi̯u̯ăhₐ ‘luminosa’), così come neppure fis (eventualmente da *spĭtjā) con taota (che a sua volta è la parola indoeuropea, *tŏu̯tăhₐ), la quale però è corradicale di *tĕu̯tăhₐ ‘popolo’ o *tĕu̯tŏnăhₐ ‘regina’, che si ritrova nel nome della regina illirica Tĕu̯t(ăn)ā. ‘Legge’ (ligj) e ‘città’ (qytet) sono mutuazioni dal latino (rispettivamente lēx e cīuĭtās) e quindi non ci permettono di sapere quali fossero le parole illiriche per questi due significati.

La ricorrenza della vocale centrale media (non arrotondata) in moltissime varietà italoromanze meridionali medie (non solo abruzzesi) e in albanese ha un preciso riscontro non soltanto nel resto dell’area balcanica (anche in slavo meridionale), ma in dialetti di tutti i rami neolatini (rumeno, ladino, piemontese, francese, catalano, portoghese) ed è quindi da ricondurre al latino volgare: è dunque l’albanese a essere stato influenzato dal latino (postclassico) e non viceversa. Con ciò, d’altronde, entriamo in un’altra fase storica (tardodantica, protoslava, bizantina e ottomana), cui risale anche gran parte delle somiglianze fra lingue di area balcanica e, se caso, ci ritornerei in un altro messaggio."

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