Segue sinossi e estrazione delle prime pagine, da me tradotte (con qualche piccola nota), del Digenis Akritas, il romanzo "bizantino" per eccellenza.
SINOSSI:
“Digenis Akritas”, opera dedicata all’omonimo ed eccezionale guerriero, figlio di una romana che sposa Musur, un signore arabo convertito al cristianesimo durante le guerre arabo-bizantine in Cappadocia. Digenis vive ai bordi dell’impero ed è l’antitesi di Orlando, El Cid e tutti i famosi cavalieri in armatura scintillante che conosciamo. Mentre questi, infatti vivono per l’onore, la fedeltà al sovrano, alla patria e ai compagni d’arme, Digenis è un guerriero solitario, senza legami e senza alcun onore, vive di eccessi e segue unicamente le sue pulsioni. È disinteressato a qualunque quesitone morale, agisce solamente per il suo interesse e per quello dell’amata consorte. È cristiano, ma non segue alla lettera i dettami e i dogmi religiosi.
Digenis ottiene sua moglie rapendola dal padre che era ostile alla loro relazione, da qui iniziano una serie di avventure rocambolesche, a volte simpatiche o comunque sopra le righe delle quali vorrei citare, per esempio, l’uccisione di un drago a colpi di clava (in una sorta di omaggio ad Eracle), sgominare interi gruppi di banditi da solo, vincere improbabili duelli contro grandi combattenti e, in generale, pattugliare la frontiera dell’impero in cerca di qualcuno da sfidare.
Il basileus cerca di contattarlo per ottenere i suoi servigi, ma Digenis rifiuta sempre e anzi, si fa addirittura beffe di lui e lo sfida apertamente. Infine, nonostante sia legatissimo alla moglie (almeno a detta sua), la tradisce in un paio di occasioni con una donna araba e un’amazzone.
Come finisce il poema? Un giorno Digenis decide di costruirsi un castello sull’Eufrate e lì resta in pace a godersi la “pensione”.
TESTO:
C'era una volta un emiro (di nobile) razza, ricchissimo, di saggezza e di coraggio incalcolabili, non nero come gli etiopi, ma bello e gentile, con una bella barba riccioluta. Aveva una fronte ben folta e piuttosto aggrottata; il suo sguardo era sveglio e piacevole e pieno d'amore brillava come una rosa dal suo volto. La sua statura era quella di un cipresso (di altissima bellezza), tanto che chiunque lo vedeva diceva che fosse bello come un quadro.
Egli aveva una forza insuperabile; e ogni giorno si compiaceva di combattere con (alla pari?) le bestie, mettendo alla prova la sua stessa audacia, rendendo il suo coraggio una meraviglia per tutti quelli che lo vedevano. Terribile era la sua gloria per i giovani.
Grazie alla sua ricchezza e al suo immenso coraggio, cominciò ad arruolare Turchi e Dilemiti, Arabi, Trogloditi a piedi e i suoi compagni, mille uomini d'arme, tutti adeguatamente stipendiati. Carico d'ira verso la Romània (impero romano), prese quelle terre, le terre di Eracle, devastò molte città e catturò schiere di persone incalcolabili, perché quei luoghi erano sguarniti e quelli che erano di guardia si trovavano ai confini; agì quindi senza essere fermato (punito). Attraversò Harzianê, giunse in Cappadocia e piombò sulla dimora di (un) generale (Romano). Quali cose furono fatte in quel luogo, chi può dirlo?
Mise a morte tutti quelli che trovò, portò via molte ricchezze, saccheggiò le case e fece prigioniera una giovinetta molto bella, figlia del generale, che era vergine.
Il generale stesso si trovava allora lontano; (invece) i fratelli della ragazza si trovavano per caso ai confini. La madre, sfuggita alle mani dei pagani, scrisse subito tutto ciò che era accaduto ai suoi figli: l'arrivo dei pagani, lo stupro della ragazza, la separazione da sua figlia, moltissime sventure; e (a) questo aggiunse scrivendo con un lamento: Ό figli cari, abbiate pietà di vostra madre, la sua anima è in miseria e presto morirà. Ricordate l'amore che avete per vostra sorella. Affrettatevi a liberarla insieme a sua madre, lei dalla prigionia e io dalla morte. Daremmo ogni cosa per amor suo.
Non preferite la (vostra) vita alla vita di vostra sorella; abbiate pietà, figli miei, della vostra stessa sorella; andate in fretta a liberarla, altrimenti mi vedrete morta, madre e figlia, e riceverete la maledizione di vostro padre e la mia, se non farete come vi ho proposto".
E dopo aver udito queste parole, sospirarono profondamente, tutti e cinque (i fratelli), e tutti si bagnarono di lacrime, spingendosi l'un l'altro ad andare in fretta: "Andiamo", dissero, "e facciamoci ammazzare per lei". Così montarono e si misero in cammino, con alcuni soldati che li seguivano. Senza trascurare nulla e senza dormire, in pochi giorni giunsero all'accampamento, al temibile passo (di marcia) che chiamano (il) Difficile.
Smontarono lontano da dove avevano visto le sentinelle, furono (poi) portati all'Emiro per suo ordine con la richiesta di portare una lettera.
Lì era seduto su un alto trono, placcato d'oro, terribile, fuori dalla tenda (l'emiro); Intorno a lui c'era una folla di uomini armati di tutto punto. Quando si avvicinarono (i fratelli), ascoltò le loro parole.
Dopo aver fatto la riverenza fino al terzo gradino, con le lacrime cominciarono a parlare così all'Emiro: "Emiro, servo di Dio e principe di Siria, Che tu possa venire a Palermo, vedere la Moschea, Che tu possa adorare, Emiro, la Pietra (della Mecca?), che tu possa essere ritenuto degno di adorare la tomba del Profeta; Che tu possa ascoltare la preghiera consacrata.
Hai portato via una bella giovinetta, nostra sorella. Servo dell'Altissimo Dio, vendila a noi, per lei ti daremo tutte le ricchezze che vuoi. Il padre la piange, non avendo avuto nessun'altra (figlia); sua madre vuole morire senza (poter) vederla. Noi stessi, posseduti da un amore sconfinato per lei abbiamo giurato, tutti, con giuramenti spaventosi, anche di essere uccisi se non la riportiamo indietro".
Sentendo ciò, l'emiro ammirò la loro audacia, e per sapere con certezza se erano coraggiosi (poiché conosceva perfettamente la lingua romana), rispose dolcemente dicendo loro queste parole: "Se volete liberare vostra sorella, scegliete uno di voi che ritenete coraggioso, e montiamo insieme lui e io, e combattiamo insieme lui e io. E se lo batterò, sarete miei schiavi"; se fosse lui a vincere, in modo leale, riceverete vostra sorella, senza perdere nulla.
Un articolo di Emanuele Rizzardi
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