Un'attentissima analisi del nostro Nicola Messina riguardo la figura di Arminio. Per un giudizio libero dagli stereotipi e dalla propaganda, dove si sviscera la figura del famoso capo germanico e della sua "ribellione".
La vicenda di Arminio è controversa. Essa si sviluppa da due coscienze in lotta, tra il senso di appartenenza alla propria cultura e la fedeltà verso un Impero che lo aveva cresciuto, e due mondi antitetici: quello latino e quello germanico. Condizioni parallele che hanno contribuito a innescare la rivolta e il successivo disastro per i Romani. La sua condotta è ancora fonte di discussioni e occasionalmente riapre ferite e questioni mai ricomposte, come la resistenza dei piccoli popoli e il loro diritto a esistere e a perpetuare la propria cultura contro i pregiudizi e le prepotenze di quelle dominanti.
Le opinioni di intellettuali e storici hanno nel tempo esaltato, in egual misura, il suo carattere di oppositore dell’oppressione romana o di bieco traditore; definito la sua vittoria a Teutoburgo una cesura secolare tra i due mondi o la fonte dell’orgoglio germanico. C’è chi ha celebrato la sua unica impresa arrivando perfino ad affermare che, senza di essa, non sarebbe esistito il popolo tedesco; i contrari alla sua condotta, invece, lo indicano come il responsabile della mancata latinizzazione della Germania o un tiranno, a causa dell’idea di riunire le tribù germaniche sotto il suo comando.
Un mito ambiguo, un capro espiatorio dei problemi d’Europa, un eroe nazionalista, infine un faro di libertà contro le aggressioni imperialiste. Ha dato concretezza al proverbio sull’utilizzo di qualsiasi mezzo per raggiungere lo scopo, ovvero: fatti amico il tuo nemico e poi colpiscilo quando meno se lo aspetta. Un esempio di ribellione audace e pericolosa per i metodi utilizzati. Soggetto a una sovraesposizione storica che ha alimentato le propagande pro e anti-germaniche. Di contro, raramente viene citato nei testi scolastici e ancor meno viene contestualizzata la sua vita. Un personaggio buono per ogni stagione, conosciuto da pochi addetti ai lavori nel suo aspetto storico più autentico. Non solo come fonte speculativa.
Alcuni studiosi indicano ne “La Germania” di Tacito uno dei tanti testi che ha consentito la nascita di un’identità tedesca, quando essa sembrava oscurata dalla presunta inconsistenza del suo passato. Lo storico romano è stato tacciato di aver dato ragione d’essere a dei popoli che avrebbero meritato l’oblio. Il ritrovamento, lo studio e la diffusione dei suoi testi, sul finire del medioevo, introdussero un nuovo spirito d’appartenenza tra i popoli d’oltre Reno. Tra i primi ad approfittarne fu Martin Lutero. Il bellicoso frate introdusse le vicende degli antichi Germani nella sua controversia con il Papa.
L’antagonismo tra i due mondi è concreto. La terra di Goethe, infatti, è stata una fonte di afflizioni per le lande di Dante e non solo. Una storia controversa che mutava ogni qualvolta c’erano degli elementi culturali o politici che esortavano le menti a una reciproca condiscendenza. Quando, invece, l’animo teutonico più feroce s’abbatteva sul continente e la penisola italiana, i detrattori affollavano le biblioteche con tomi sulla disgrazia ad avere un nemico così subdolo, un flagello. Lo stesso Benedetto Croce indicò in Teutoburgo l’origine delle sciagure che investirono l’Europa nel XX secolo. Però, non si può parlare dei rapporti tra mondo germanico e latino senza inquadrare, brevemente, le differenze tra i due popoli negli anni del loro incontro.
Le migrazioni germaniche ebbero il loro massimo contatto tra il 500 e il 300 d.C. all’incirca. Popoli di diversa provenienza ed etnia si mossero dalle regioni a sud della penisola danese e girarono l’Europa senza una méta e inglobando le genti incontrate lungo il percorso migratorio. Motivi di questi spostamenti sono da ricercarsi nell’aumento demografico, in alcuni disastri naturali e nella conseguente diminuzione delle risorse alimentari. Lotte e faide interne, poi, contribuirono a nuclearizzare quei popoli in decine di tribù e clan spesso contrapposti per un pascolo o un campo arabile. L’espansione rallentò, sino a fermarsi, con l’incontro di una potenza che sorgeva dal meridione europeo: Roma.
Fulcro dell’organizzazione sociale dei Germani era la famiglia con a capo il padre e una linea ereditaria matriarcale. Il vincolo più saldo era quello del sangue. Il Reick, il capo tribù, era di solito scelto tra i più anziani o valorosi, ma anche tra le donne dell’alta nobiltà se occorreva. La donna aveva un posto nella società: ascoltata e temuta per le sue attitudini divinatorie e, come descrive Tacito, anche in guerra (ricordo la vicenda di Velleda) e in ambito politico.
Più famiglie formavano un clan e comitati che gestivano dei territori denominati cantoni comandati da un Reick a capo di un consiglio tribale e di un numero variabile di guerrieri. L’incontro tra i Reicks di tribù diverse avveniva tramite la convocazione del Ting, dove si discuteva di questioni d’interesse generale. Un sistema libertario dove le azioni del governo erano sovente prevaricate dalle necessità degli stessi clan.
La popolazione era suddivisa in liberi e servi: solo ai membri liberi della società era permesso fare affari, combattere e partecipare all’assemblea popolare dove si eleggeva il Reick, si prendevano le decisioni per la guerra, il bene comune, si risolvevano i litigi, ecc. I mercanti, in genere, erano stranieri dai quali ottenevano i beni di lusso. L’economia, infatti, era tipicamente rurale e composta, perlopiù, da produttori-consumatori. Il commercio con l’Impero avveniva a fasi alterne: un’attività determinata dalle crisi con Roma, dai punti d’accesso alla regione e dalla lontananza di questi dai villaggi. Sono state scoperte delle monete romane, soprattutto d’argento, anche in posti remoti della Germania e della Scandinavia.
Al contrario dei Celti che, con un grado di civiltà superiore, dimoravano in ampi villaggi fortificati dove era presente una numerosa popolazione, i Germani vivevano in piccoli agglomerati di capanne separati gli uni dagli altri o sparsi sul territorio.
La dispersione della popolazione fu uno dei fattori del mancato consolidamento romano nella regione. Infatti, con i Galli, una volta presa la città avevi anche il territorio circostante, mentre con i Germani fu un “Vietnam”: quelli che non si sottomettevano ai Romani continuavano a combattere compiendo azioni di guerriglia protetti dalle foreste, oscure e impenetrabili, perché in una battaglia campale con le legioni avrebbero perso. I loro attacchi, infatti, erano per lo più degli atti di forza, senza una tattica precisa e condotti frontalmente. In caso di sconfitta le gambe erano le loro migliori alleate nella fuga.
Caratteristica del germano era la partecipazione alla vita comune in ragione della sua volontà e capacità, dei suoi mezzi e dignità; in guerra egli s’aggregava a un capo dal coraggio e dall’onore riconosciuti, con una forza militare messa assieme con delle promesse economiche clientelari e pronto a immolarsi, con i suoi seguaci, pur di raggiungere una vittoria offerta agli dèi; in pace pagava i tributi con offerte spontanee, collettivizzava i bisogni primari in caso di penuria o razziava il vicino per procurarsi il sostentamento; se offeso, poteva esercitare da sé la giustizia, senza passare dall’assemblea, con la faida: la soddisfazione di un torto con la vendetta.
Al contrario, nell’organizzazione romana lo Stato fissava le norme della convivenza sociale, dei rapporti tra i cittadini e di questi verso lo Stato; imponeva i doveri inerenti al servizio militare, alle imposte; ne limitava la libertà d’azione; li condannava nell’infrazione della legge; li obbligava a ricorrere a una giustizia comune nelle aule di tribunale. Le donne erano relegate in casa e sottoposte a un severo ordinamento sociale. Un connubio di mutevoli tradizioni politiche che, talvolta, si conciliavano con un efficiente e dinamico potere, mentre in altre occasioni sfociavano in sanguinosi conflitti a causa del difficile rapporto tra Senato, Imperatore e militari.
La cittadinanza romana non legittimava l’appartenenza a una tribù, anche se la società era suddivisa in Gens, ma piuttosto, da Cesare in poi, attestava le intenzioni ad accettare lo stile di vita romano, che andava al di là dell’appartenenza a un popolo diverso da quello latino.
Roma aveva un corpus legislativo avanzato per i suoi tempi, l’ingegno architettonico, la cultura classica, che tutti ben conosciamo e la sua missione era quella di divulgarli, o imporli, in quanto espressione massima dell’umanità di allora. Riteneva inferiori tutti gli altri aspetti a meno che non fossero utili al suo “destino manifesto”. I Germani erano solo una forza lavoro o combattiva da sfruttare. Una questione storica che si è riproposta con altri imperi e tristi risultati: ne aveva il diritto? Perché non si aiuta un paese invadendolo, né si può ottenere la sua fiducia con le armi o il ricatto: dall’antica Germania all’odierno Medio-oriente la storia parla senza essere ascoltata.
Questa è la differenza tra i due popoli. Uno viveva in funzione della propria libertà in simbiosi con gli appartenenti alla tribù in una visione pragmatica e individualista dell’esistenza, in un ambiente fortemente influenzato dagli elementi naturali e in perenne lotta per la sopravvivenza; l’altro si era dotato di un’organizzazione statale gravosa, precisa, coordinata in continua espansione per sopravvivere e di una visione mercantile e affaristica della vita, supportata dalla filosofia che cercava di spiegare tutto ma concedendo ben poco a chi era sottomesso dal sistema.
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