L'Associazione culturale Byzantion ha il piacere di presentare Maria Tatsos per questo secondo appuntamento sul tema del Ponto e della sua gente, i greci del Ponto. Il tema odierno è il grande genocidio dei Greci del Ponto durante la prima guerra mondiale e gli anni immediatamente successivi.
Come prima cosa raccontaci un po’ di te. Chi è Maria Tatsos?
«Da trent’anni lavoro come giornalista. Attualmente sono freelance, il che mi consente anche di scrivere libri - i più recenti La ragazza del Mar Nero e Mai più schiavi, entrambi editi da Paoline - e di lavorare anche come ghost writer. Tengo corsi di scrittura autobiografica e di cultura dei giardini e del verde. La mia passione è la Storia e raccontare storie».
Da dove nasce il tuo interesse per il Ponto? È una questione di origine, di affinità o entrambe le cose?
«Sono nata in Italia, ma la mia famiglia paterna è originaria del Ponto. Per anni, nessuno dei miei parenti - inclusa mia nonna Eratò, la cui storia racconto nel libro - mi ha mai parlato del genocidio che i greci hanno subito a opera dei turchi, tra il 1916 e il 1923. Era un argomento tabù. Da adulta, l’ho scoperto per caso, e da quel momento non ho mai smesso di documentarmi».
Che cosa significa per te il Ponto e che cosa significa essere dei greco-pontici nel 2020?
«Il Ponto è la patria perduta di mia nonna. Da piccola, Eratò mi diceva che la nostra terra è il Ponto, e non la Macedonia, in Grecia, dove lei ha vissuto per la maggior parte della sua lunga vita. Non ho mai avuto la possibilità di visitare il Ponto, ma lo sento come parte integrante della mia identità. Sono le mie radici, di cui sono orgogliosa. Un filo rosso mi lega ai greci che oltre 2500 anni fa giunsero in quelle terre, che più a Occidente diedero vita al mondo bizantino e a quella splendida capitale che è stata Costantinopoli, e a Oriente sulla costa fondarono il regno cristiano guidato dai Comneni. Nei secoli, i greci del Ponto si sono sempre sentiti elleni (o “romii”, come dicevano loro) e cristiani. Non si sono mischiati con i turchi (arrivati molti secoli dopo, dall’Asia centrale) per motivi religiosi e hanno mantenuto tradizioni, cultura e lingua, sebbene dopo il 1453 vivessero circondati dai musulmani. I greci del Ponto continuano anche oggi, nel 2020, a tenere viva la loro identità. Hanno associazioni, tengono corsi di danza, musica e lingua, e cercano di trasmettere alle giovani generazioni la memoria. Non siamo più nel Ponto, ma il Ponto è ancora vivo con noi».
La Storia del Ponto cambia radicalmente prima con la dominazione ottomana e infine con il grande genocidio del secolo scorso. Pensi che questi eventi siano ancora poco conosciuti?
«Ho scritto La ragazza del Mar Nero proprio perché credo che fuori dalla Grecia questi eventi siano poco noti. In Italia, per esempio, da alcuni anni si parla del genocidio degli armeni. Dei greci del Ponto e degli assiri (arabi cristiani), vittime dello stesso piano di sterminio delle minoranze cristiane nell’Impero Ottomano, nessuno sapeva nulla. Come greca del Ponto e discendente di un popolo che è stato perseguitato e sterminato, ho sentito il dovere morale di far conoscere questa storia. Volevo onorare la memoria di quei 353 mila greci del Ponto assassinati, su un totale di 700 mila abitanti, durante il genocidio».
Hai cercato di portare alla luce la cultura del Ponto tramite un libro “La ragazza del Mar Nero”, che è la storia di una persona realmente esistita: Eratò Espielidis, tua nonna. Parlaci del tuo libro.
«La vicenda di mia nonna Eratò e mio nonno Nikos è una storia come tante. Loro hanno avuto la fortuna di salvarsi e sono giunti in Grecia nel 1923 da profughi. Avevano perso tutto: la casa, il lavoro, la loro comunità di appartenenza. Erano entrambi originari di Kotyora, in turco Ordu. Non hanno mai potuto rimettere piede nella loro città natale. Nel libro ho voluto ricostruire la loro vita di prima, nel Ponto. Una vita semplice e tranquilla, fatta di buoni rapporti con i vicini turchi e armeni, cancellata da un giorno all’altro da decisioni superiori, che venivano da Istanbul. Come è accaduto in altri genocidi, si fomentano l’odio e la violenza, e il tuo vicino e amico diventa da un momento all’altro il tuo peggiore nemico».
Parlaci un po’ della storia di Eratò Espielidis, cosa può trasmettere al lettore?
«Ho scelto la strada del romanzo storico perché volevo poter parlare al cuore di più persone possibile. Eratò era una ragazza quando la Storia l’ha catapultata in una tragedia più grande di lei e le ha sconvolto la vita per sempre. Anche se ne è uscita viva, questa ferita l’ha tormentata fino alla vecchiaia. Volevo che il lettore potesse immedesimarsi e capire cosa si prova quando si è sradicati dalla propria terra. Poiché racconto una vicenda poco nota, sullo sfondo ho cercato di ricostruire gli eventi storici, perché il lettore potesse comprendere cosa stava succedendo nell’Impero Ottomano».
Come hai raccolto e organizzato le informazioni sul Ponto per il libro? Ti sei basata unicamente sulle vicende della tua famiglia?
«Ho raccolto testimonianze e fonti familiari, ma le ho integrate con ricerche. Tutto lo scenario è basato su numerosi testi storici riguardanti il Ponto e il genocidio».
Pensi in futuro di dedicarti ad altre opere simili?
«Non lo escludo. Ma La ragazza del Mar Nero resta per me un traguardo speciale, perché è una storia vera ed è personale».
Parlando del Ponto, quale è la cosa che ti viene immediatamente in mente e che consiglieresti ad un lettore occasionale per approfondire l’argomento? Una danza, una città, una canzone…
«Consiglierei di ascoltare “Tin patridam exasa”, una canzone popolare del Ponto che racconta il dolore della perdita della propria terra. Suggerisco di ascoltare su YouTube questa versione https://www.youtube.com/watch?v=tys2SG2fQM8. Si apre con un virtuoso assolo di lira, lo strumento nazionale del Ponto, e prosegue con la voce di due cantanti, una greca e una turca. Unire le voci è un messaggio di speranza. La Turchia di oggi ancora non riconosce il genocidio che ha commesso nei confronti delle minoranze cristiane cent’anni fa. Chi non sa imparare dalla Storia, è destinato a commettere di nuovo gli stessi errori».
Cosa resta è della cultura del Ponto, oggi?
«Sopravvive fra i greci del Ponto della diaspora, in Grecia, in Australia, negli Stati Uniti. Ma in Turchia 2500 anni di storia greca sulle rive del Mar Nero sono stati cancellati. Non solo cacciando e uccidendo la gente, ma anche distruggendo ogni testimonianza di quella presenza. Splendidi monasteri, fra i più antichi della storia cristiana in Anatolia, sono stati vandalizzati e ridotti in macerie. Le chiese sono state trasformate in moschee e i cimiteri violati e fatti a pezzi. È stato anche un genocidio culturale. Solo negli ultimi anni qualcosa è cambiato: per esempio, il monastero di Sumelà è stato in parte restaurato. Ma i rapporti greco-turchi restano tesi e mi sembra che la Turchia di oggi non ci tiene a ricordare la presenza greca nel Ponto».
Ti ringraziamo per essere stata con noi e speriamo di leggerti ancora sul nostro blog!
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