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Il Palazzo di Teodorico

Immagine del redattore: Emanuele RizzardiEmanuele Rizzardi

Questa foto, da me scattata nel 2017, mostra quello che rimane di ciò che comunemente viene chiamato "Palazzo di Teodorico", a Ravenna.





Si tratta di una facciata con ingresso e finestre murate, che si presenta in uno stato di conservazione non certo eccellente.

L'aspetto austero e l'atmosfera quasi misteriosa che emana hanno alimentato diverse leggende nel corso dei secoli. La tradizione locale, per esempio, vuole che si tratti dei resti della residenza del famoso re dei Goti (Teodorico, appunto), un’interpretazione affascinante ma priva di riscontri storici concreti. Gli studi archeologici e architettonici effettuati sulla struttura hanno chiarito che l'edificio non appartiene all'epoca di Teodorico o dei Goti, ma è successiva. La sua costruzione può essere collocata intorno al VII secolo, con aggiunte o modifiche realizzate nel corso dell'VIII secolo.

La funzione originaria di questa costruzione rimane tuttora oggetto di speculazioni. Sebbene le sue caratteristiche architettoniche e il contesto storico offrano spunti per diverse ipotesi, non è ancora possibile determinare con certezza quale fosse il suo scopo. Quel che è certo è che non si trattava del palazzo di un re. L’assenza di elementi architettonici o decorativi tipici di una residenza regale e la collocazione stessa dell’edificio, in un’area che all’epoca aveva una funzione prevalentemente amministrativa, sembrano escludere categoricamente questa possibilità.

Le ipotesi più accreditate suggeriscono che l’edificio facesse parte del complesso di palazzi destinati ad ospitare l'Esarca d'Italia e il suo seguito. L'Esarca, rappresentante dell’imperatore bizantino in Italia, risiedeva a Ravenna, che era all’epoca uno dei centri politici e culturali più importanti dell’Occidente bizantino. La struttura in questione potrebbe essere stata una parte secondaria di questo complesso, utilizzata per scopi amministrativi o logistici piuttosto che come residenza principale. La presenza di edifici con funzioni diversificate era una caratteristica comune nei grandi complessi amministrativi di epoca bizantina, dove si trovavano spesso palazzi, uffici, magazzini e strutture religiose.

Un’altra teoria interessante collega la struttura a una chiesa scomparsa, dedicata a San Salvatore in Calchis. Questo edificio sacro, di cui rimangono scarse tracce documentarie, sarebbe sorto nelle vicinanze o forse proprio sul luogo della costruzione in questione. Il nome "Calchis" è particolarmente evocativo e rappresenta un'italianizzazione di "Chalke", termine che richiama un famoso palazzo di Costantinopoli, sede imperiale con grandiose porte di bronzo. È possibile che l’edificio avesse una certa somiglianza con il Chalke bizantino, almeno nella concezione o nell’aspetto delle sue aperture e decorazioni, e che questo abbia contribuito a dargli il nome.

L'ipotesi che l'edificio fosse in qualche modo legato alla chiesa di San Salvatore in Calchis è supportata dalla comune pratica bizantina di integrare edifici religiosi e strutture amministrative in un unico complesso. Tali disposizioni non solo facilitavano le attività quotidiane degli amministratori, ma riflettevano anche l’importanza della fede e della liturgia come elemento cardine della vita pubblica e politica dell’Impero bizantino. La chiesa potrebbe quindi aver svolto un ruolo rilevante nelle cerimonie ufficiali o nella vita spirituale della comunità che gravitava intorno all'Esarca.

Un’altra possibilità, meno esplorata ma comunque plausibile, è che la struttura fosse utilizzata come residenza o alloggio per le guardie dell'Esarca. La protezione del rappresentante imperiale era una priorità assoluta, e la presenza di un edificio destinato a ospitare i soldati o gli ufficiali preposti alla sua sicurezza sarebbe del tutto coerente con la configurazione di un complesso amministrativo di questo tipo. Inoltre, l’architettura sobria e funzionale dell’edificio sembrerebbe adattarsi a una funzione del genere, piuttosto che a un uso abitativo per alti funzionari o a scopi religiosi.

L'aspetto enigmatico dell'edificio, con le sue finestre e ingressi murati, potrebbe essere il risultato di trasformazioni successive. In epoche di crisi o di declino, strutture di questo tipo venivano spesso modificate, abbandonate o riutilizzate per altri scopi. La pratica di murare aperture e ingressi era comune per proteggere gli edifici dalle incursioni o semplicemente per conservarne le mura portanti, anche quando non erano più utilizzati per il loro scopo originario.

Nonostante il suo stato di conservazione attuale non sia eccellente, come detto, l’edificio resta un'importante testimonianza di un periodo storico cruciale, in cui Ravenna era un ponte tra Oriente e Occidente, tra l'eredità dell'Impero Romano e la cultura "bizantina". La sua stessa esistenza solleva domande interessanti sul ruolo e sull'organizzazione degli insediamenti amministrativi e religiosi dell'epoca, offrendo agli studiosi uno spunto prezioso per ulteriori ricerche.


Un articolo di Emanuele Rizzardi


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