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Immagine del redattoreEmanuele Rizzardi

I crociati a Costantinopoli secondo Anna Comnena

Segue estratto dell'Alessiade, libro X, di Anna Comnena, riguardo l'arrivo di Goffredo di Buglione e del suo esercito a Costantinopoli, durante la Prima Crociata (1096). Ho aggiunto qualche piccola nota esplicativa.


Ma anche il conte Goffredo [di Buglione], dopo avere fatto in quel tempo la traversata con altri conti ed un esercito di diecimila cavalieri e di settantamila fanti e avere raggiunto la capitale, acquartierò dalle parti della Propontide il suo esercito per un percorso che si estendeva dal ponte, che si trova vicinissimo al Cosmidion, fino alla chiesa di San Foca.

Poiché l’imperatore lo invitava ad attraversare lo stretto della Propontide, lui rinviava di giorno in giorno e, intrecciando causa su causa, rimandava, e insomma aspettava l’arrivo di Boemondo [di Taranto] e degli altri conti.

Infatti, mentre Pietro [l'eremita] fin dall’inizio aveva affrontato un tale viaggio per la venerazione del Santo Sepolcro, tutti gli altri conti, e più di tutti Boemondo, nutrivano un antico rancore contro l’imperatore e cercavano l’occasione di prendere vendetta su di lui per quella splendida vittoria che Alessio aveva riportato su Boemondo, quando aveva ingaggiato con lui battaglia a Larissa.

Essi, essendo d’accordo e sognando di occupare la stessa capitale, erano pervenuti alla medesima idea, apparentemente facendo la marcia per Gerusalemme, ma, in realtà, volendo scalzare l’imperatore dal potere ed occupare la capitale.

Ma l’imperatore, conoscendo da tempo la loro perfidia, diede ordine per lettera che le truppe dei gentili [mercenari] con gli stessi capi si posizionassero per squadroni da Atira fino alla stessa Filea [sempre sulla Propontide] e spiassero; se mai qualcuno da Goffredo fosse inviato presso Boemondo e i conti che venivano dietro di lui, o, a loro volta, da quelli fosse inviato qualcuno presso di lui, loro ne impedissero il passaggio.

Ma nel frattempo succede un fatto; l’imperatore aveva mandato a chiamare alcuni dei conti che erano con Goffredo per consigliare loro di suggerire a lui di prestare il giuramento [di fedeltà al basileus], ma, poiché trascorreva il tempo a causa della natura ciarliera e prolissa nel parlare tipica dei Latini, si era diffusa presso di loro la falsa notizia che i conti fossero stati arrestati dall’imperatore. Immediatamente le schiere si mossero serrate contro la città di Bisanzio e subito distrussero completamente i palazzi che si trovano presso il Lago detto Argenteo, e, nel contempo, attaccarono le mura di Bisanzio anche se senza macchine d’assedio, ma, fidando nel loro grande numero, arrivarono a tal punto di impudenza che osarono anche appiccare il fuoco alla porta inferiore del palazzo [imperiale], vicino al santuario edificato anticamente da uno degli imperatori in onore di Nicola, grandissimo tra i pontefici.

Non solo quei Romani della massa spregevole e quanti erano totalmente imbelli e inesperti di guerra, vedendo le schiere dei Latini, piangevano, gemevano e si battevano il petto, non sapendo cosa fare per la paura, ma ancora di più quanti erano devoti all’imperatore, pensando a quel Giovedì in cui era avvenuta la presa della città [festa religiosa], e per ciò temendo che, in quel giorno che incombeva, accadesse una qualche vendetta dei fatti accaduti allora; tutti quelli che erano esperti di attività militare accorrevano disordinatamente al palazzo.

L’imperatore non si armò affatto né indossò la corazza lavorata a scaglie né imbracciò lo scudo o la lancia né si cinse di spada, ma saldamente se ne stava seduto in atteggiamento composto sul trono imperiale e con sguardo ilare incoraggiava tutti e infondeva ardire nei loro animi, prendendo consiglio con i suoi parenti e con i generali dell’esercito riguardo al futuro.

In primo luogo, dunque, non era disposto a mandare nessuno fuori dalle mura contro i Latini. [...] Mandati degli inviati, aveva consigliato di astenersi da tale impresa [attaccare Costantinopoli] dicendo [ai Latini]: «Abbiate rispetto di Dio ucciso in questo giorno per tutti noi, lui che non ha rifiutato per la nostra salvezza né la croce, né i chiodi né la lancia che si addicono ai malfattori. Se avete voglia di combattere, anche noi saremo pronti a farlo dopo il giorno della resurrezione del Salvatore.»

Ma quelli non solo non ubbidirono, ma, anzi, infittirono di più le schiere, scagliando continui dardi a tal punto da colpire al petto uno di coloro che stavano vicino al trono imperiale. [...]

Appena [Alessio] vide i Latini avvicinarsi sfrontatamente alle mura e non cedere ai suoi assennati consigli, in primo luogo mandò a chiamare suo genero Niceforo, il mio cesare [marito], e gli ordinò di prendere con sé guerrieri valorosissimi.


Un articolo di Emanuele Rizzardi


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