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Immagine del redattoreEmanuele Rizzardi

Arminio, una vicenda europea (seconda parte)

Secondo appuntamento con Nicola Messina, per un approfondimento sulla figura di Arminio e sulla sua portata storica. Arminio, in tutto questo, come deve essere considerato? A mio modo di vedere, lui è un punto di contatto tra le due culture. Durante la sua esperienza tra i Romani assorbì molto del loro modello organizzativo statale e militare. Penso che tentò di riproporlo tra i suoi connazionali, per poi mettersene a capo. In seconda battuta, è colui che, con la sua scelta di ribellarsi, causerà la crisi del progetto di Augusto per una nuova provincia.

Arminio e il fratello furono condotti a Roma come ostaggi a seguito di una tregua con i Cheruschi, una delle innumerevoli tribù germaniche. Vennero allevati secondo il costume romano: dei “figli della lupa adottivi” con l’incognita dell’uccisione sulle loro teste.

Il trattato venne rispettato e i prigionieri mantenuti in vita perché l’interesse generale superava quello del singolo accordo. Infatti, i due vennero cresciuti, come ogni altro ragazzo di origine latina, allo scopo di farli diventare dei capi soggiogati e indottrinati. Furono istruiti dai migliori maestri e addestratori; venne data loro una casa, di cui sfamarsi e altre occasioni di svago e carriera all’interno dell’esercito. Divennero degli ufficiali con grado equestre, prefetti di ala di cavalleria ausiliaria. Parteciparono alla sanguinosa campagna di sottomissione delle popolazioni illiriche e pannoniche con il generale Tiberio e nel 7 d.C. ebbero la cittadinanza per merito. Wulf fu un indubitabile Flavus, mentre Irmin non si trasformò mai appieno in Gaius Iulius Arminius. La lealtà forzata, infatti, altri non è che una forma d’ignobile schiavitù: forse questo pensava il giovane cherusco mentre era costretto a sottomettere con la violenza i suoi simili.

Il dilemma che lo lacerava non era da poco: seguire una situazione appagante in una società ricca e regolata, assistendo però alla fine del proprio mondo d’origine o restare sé stesso, con i propri usi e costumi, in una realtà fatta di miseria, faide e sopravvivenza, ma libero? Che scelta avreste fatto?

Un animo combattuto, dove la parte germanica ebbe il sopravvento sull’ordine romano. Il probabile avvio di quelle plurisecolari rivalità tra i mondi latini e germanici in ogni loro forma, anche calcistica. Una storia fosca e causa di analisi errate, incomprensioni, crisi ed eccidi, quanto promotrice di cultura, politica e civiltà, quando possibile. Su Teutoburgo si è discusso ampiamente negli ultimi secoli. Al contrario si è parlato poco dei motivi del suo voltafaccia. A questo proposito le date possono avere una certa rilevanza per capire quando possa essere avvenuto il cambiamento, se tale fu. Su questo ho fatto alcune riflessioni che possono essere ritenute valide o meno. Gli storici antichi hanno diverse opinioni sulla sua condotta.

Sono giunto alla conclusione che Arminio non organizzò la ribellione in poco tempo e nemmeno da solo, impossibile vista la situazione in cui si trovava: lui era un ufficiale del nemico che si voleva scacciare. Chi si sarebbe fidato? Ci vollero dei mesi: doveva trovare gli alleati più fidati, coinvolgere le tribù disperse su un vasto territorio, verificandone le reali intenzioni; persuadere i capi della propria buona volontà; infine, non doveva suscitare invidie o sospetti tra i clan che portassero alla sua denuncia in cambio di una ricompensa. Segeste, il padre di Thusnelda rapita da Arminio che poi sposò, denunciò le sue attività cospiratorie a Varo, ma rimasero inascoltate. Per fare tutto ciò, senza destare sospetti tra i Romani, deve aver speso almeno un anno e più, in cui ha esposto con cautela i suoi piani, convinto i capi fazione, coordinato le tribù con promesse di gloria e ricchezza provenienti dalle legioni sconfitte. Ha carpito la fiducia dei Romani, proponendo loro il paravento di un popolo sottomesso che ubbidisce ai suoi padroni.

La battaglia ebbe luogo nel settembre del 9 d.C., mentre la cittadinanza gli è stata data nel 7 d.C. Alla luce di ciò, presumo senza pretese di esaustività, che il cambiamento nel suo animo possa essere avvenuto qualche mese dopo. Può darsi che da tempo stesse meditando di prendere il comando delle tribù e guidarle contro Roma: probabilmente un rancore cresciuto nel tempo assieme al piano per raggiungere il potere. Forse qualche evento come un insulto razzista, una morte importante o un massacro indiscriminato, lo abbia convinto in modo definitivo che i Romani non fossero la sua gente. Oppure, la cittadinanza ebbe su di lui un effetto contrario, di rigetto delle istituzioni che gliela avevano concessa. Non lo sapremo mai!

I motivi che lo spinsero a rinnegare il mondo adottivo sono oscuri. Il suo doppio gioco, però, non deve essere considerato indegno, se paragonato alla condotta che Roma teneva con i popoli dominati: stermini indiscriminati, una totale soppressione delle libertà, l’imposizione del proprio stile di vita e di un pesante sistema tributario e legislativo.

Il cherusco aveva contribuito all’espansione di Roma a discapito di altri popoli. Però, concepì la rivolta per spezzare il giogo delle genti a cui apparteneva. Conosceva l’esercito romano e i suoi punti deboli; fu un confidente del legato Varo che non ascoltò le denunce mosse contro di lui. Con Teutoburgo depose ai piedi d’Augusto il suo nome latino per elevare quello germanico.

Sopravvissuto alla vendetta di Roma e scacciato Marobuodo, un re marcomanno alleato dei suoi nemici, Arminio tentò la scalata ai vertici di una coalizione reale solo nella sua mente. Un atto ambizioso per l’ambiente in cui si sviluppò. Di sicuro, con il ritorno della pace, li venne negato il sostegno alla sua pretesa, che venne accompagnata dall’invidia verso il ruolo che voleva assumersi. Non più utile allo scopo con cui era stata messa insieme quell’alleanza di Germani, venne progressivamente abbandonato da molte tribù. L’indole separatista dei suoi connazionali prese il sopravvento. Venne ammazzato per evitare che qualcuno mettesse ordine nel loro tradizionale caos. Le versioni sulla sua morte sono varie, una è proprio narrata nel mio libro “Nemesi Rossa”. La più probabile narra di un agguato avvenuto lungo un sentiero e attuato dalla sua scorta o da guerrieri al soldo di parenti o alleati invidiosi.

Le riflessioni su Arminio dovrebbero essere fatte alla luce dell’analisi storica sul periodo in cui visse. Una vicenda controversa, come detto, che però è solo figlia del suo tempo. Recenti studi hanno declassato d’importanza la responsabilità di Teutoburgo nella mancata latinizzazione della Germania e con essa i presupposti per un nuovo piagnisteo nazionalista (sia da parte tedesca che italiana) basato su teorie infondate. Infatti, Roma rispose alla sconfitta con delle campagne dolorosamente vittoriose: ebbe più legioni distrutte nella risposta ai Germani che per Teutoburgo, pensiamo solo alla battaglia dei Ponti Lunghi, dove quattro legioni finirono in trappola e circa la metà dei legionari si salvò grazie all’ingegno del generale Cecina, o al naufragio della flotta che riportava sei-otto legioni verso la foce del Reno, esse sovrastarono in perdite le vittorie di Idistaviso e del Vallo degli Angrivari.

Tacito scrisse i libri molti anni dopo quegli avvenimenti, anche se fu scrupoloso con le sue fonti. Non bisogna fargliene una colpa se qualcuno ha utilizzato i suoi scritti per dare lustro a delle teorie fasulle e a un’influenza secolare tutta da dimostrare.

Il responsabile, se bisogna additarne uno, fu l’Imperatore Tiberio che ritirò le truppe dalla regione ponendole sul confine del Reno. L’esilio e morte in Siria del generale Germanico (forse venne assassinato) fu un’altra stranezza che interruppe la sequenza di vittorie che, se continuate, avrebbero potuto portare alla cattura di Arminio. I motivi reali della ritirata sono da ricercarsi nelle questioni economiche: costi alti per una terra avida di risorse, ma colma di ribelli.

Le esaltazioni razziali degli Antichi Germani da parte dei nazisti, quindi, non trovano fondamento né in Tacito, né nelle gesta di Arminio e, cosa molto importante, neanche nelle parole del loro leader. Albert Speer in un suo diario annotò il disgusto dell’austriaco Hitler verso i suoi non ancestrali antenati, dopo aver visitato Roma del 1938. Quelle righe attestano, in modo chiaro, che neanche allo stesso fuhrer importava esaltare un periodo in cui, secondo lui, vivevano delle nullità sottosviluppate.

Engels, nella sua Storia dei Germani, indica negli stessi tedeschi i responsabili morali delle proprie sventure e che Teutoburgo fu solo un episodio di fortuna.

Una medaglia del 1° maggio 1848 esalta la figura di Arminio che, con la mano alzata e i simboli Romani calpestati, celebra l’apertura del primo parlamento tedesco. Qualche anno prima, un’altra medaglia invocava a un’unica nazione e popolo, sempre con il cherusco a far da simbolo d’unità. Nel 1875 venne eretta una statua enorme a monito di coloro che avrebbero osato sfidare la nuova nazione. Questo fu il destino nazionalista di Arminio. Le ragioni storiche della sua rivolta, ma anche il personaggio reale stesso, sfumarono nelle propagande e tra i fumi delle battaglie e degli stermini indiscriminati.

I personaggi ritenuti ambigui vengono utilizzati per le esigenze di carattere propagandistico, in una corsa nel diffondere falsità tra le sprovvedute masse popolari allo scopo di ammaliarle. È necessario, quindi, far conoscere questi fatti per non cadere nel qualunquismo o nella faziosità, di per sé già diffusa in questioni ben più serie come l’immigrazione. Le trame ambigue possono creare dei falsi eroi, da dare in pasto ai cittadini creduloni, allo scopo di coprire la pochezza politica o una dittatura. Oggi, è ancora più necessario tornare a fare cultura storica.

La disinformazione antica può diventare verità e influenzare i pensieri moderni.

Il dibattito sulla rete, che osservo con lucida costanza, trasuda di dichiarazioni che esprimono odio verso il germano ritenuto, tra l’altro, “un traditore a cui è stata data la cittadinanza” e chi, invece, cerca di capire le ragioni e di comprenderne il tempo in cui mosse i suoi passi. Sono spesso discussioni puerili, portate avanti con una sterilità d’idee da scioccare chiunque abbia della sensibilità storica. Accostamenti all’attualità perpetuati da gente che si definisce colta o titolata e che imbarazzano.

Concludo con alcune riflessioni scritte in vari periodi storici, ma che hanno molto in comune:

Da Friedrich Engels, Storia e lingua dei Germani, Editori Riuniti: “I Germani avevano conosciuto abbastanza bene la fedeltà ai trattati e la lealtà dei Romani quando Cesare attaccò Usipeti e Tencteri durante l’armistizio e le trattative; le avevano conosciute quando Augusto fece imprigionare gli ambasciatori dei Sigambri, prima dell’arrivo dei quali egli rifiutava qualsiasi negoziato coi Germani.

È proprio di tutti i popoli conquistatori d’ingannare i loro avversari con ogni mezzo; e trovano ciò del tutto normale; appena però gli avversari si permettono la stessa cosa, essi parlano di patti infranti e di tradimento. Ma i mezzi che vengono impiegati per soggiogare debbono esser validi anche per liberarsi dal giogo. Finché vi saranno popoli e classi che rubano e dominano da un lato e derubati e dominati dall’altro, l’impiego dell’astuzia accanto alla forza sarà una necessità da entrambe le parti, e tutte le prediche morali resteranno senza forza davanti a questa”.

Da Umberto Roberto, Il nemico indomabile, Laterza: “Al di là delle celebrazioni di Tacito e di altri, è la voce di Strabone che ci fa apprezzare lo spirito di Arminio... non trascura di notare che mentre nel maggio del ‘17 a Roma si celebrava il trionfo sulla Germania, Arminio combatteva ancora, da uomo libero. E combatteva nonostante avesse perduto gli affetti più cari, caduti in mano dei Romani; e pur avendo avuto gravi rovesci. Superando ogni ottusa visione nazionalistica, le gesta di Arminio e degli altri ribelli a Teutoburgo rappresentano un luminoso esempio di libertà. Senza dubbio, fu condotta con i metodi della guerriglia e del tradimento. Ebbe, tuttavia, la conseguenza di sospendere lo sfruttamento intensivo e la servitù dei popoli transrenani sotto il giogo di Roma. ...Il loro coraggio, come già avvertiva Tacito, suscita ammirazione. Per questa ragione non è bene dimenticare Arminio e i suoi; occorre invece conservarne la sua memoria nella coscienza d’Europa, oggi e in futuro”.

Ho intrapreso questa strada con l’unico scopo di far conoscere il personaggio, la moltitudine forse lo riterrà scomodo o noioso: io lo ritengo interessante, ma ora cessiamo di indicarlo come un imputato che trascende i secoli. È mia opinione, a oltre duemila anni da quei tragici eventi, che la questione Arminio debba essere riportata sui binari della Storia studiata e divulgata senza sovrastrutture narrative di qualsiasi tipo. Penso che la sua vicenda non debba suscitare animosità bensì riflessioni; soprattutto in questi tempi in cui problemi ben più angoscianti stanno inflazionando le nostre benestanti vite.

Arminio appartiene alla storia del popolo tedesco come Spartaco a quello italiano, ed è giusto che sia così. La ribellione lo ha reso un personaggio meritevole di essere ricordato nella vasta Storia dell’Europa. Un condottiero come molti che, per varie ragioni evidenti, non può essere definito con i criteri politici moderni. Fu il primo a vincere l’Impero al di là del Reno e a proporre un “sistema federale” tra le sue genti. Lui è la prova del rifiuto delle grandi civiltà di rispettare i piccoli popoli e, proprio per questo, si sono sempre permesse di opprimerli e di soggiogarli con la scusa di una cultura superiore, ovvero di una potenza economica immorale. La rivolta è solo una conseguenza di questi atteggiamenti. Un’onesta inclusione e, sottolineo, il rispetto, penso che avrebbero portato a risultati ben più apprezzabili.

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